Tutte le donne di Prassagora

Tutte le donne di Prassagora
Pride and Prejudice, Jane Austen

mercoledì 10 dicembre 2014

Cassazione: Tutori e Amministratori di sostegno sono Pubblici Ufficiali




La VI sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 50754/2014, ha chiarito che devono essere equiparati di tutori e amministratori di sostegno sotto il profilo della configurabilità, in capo agli stessi, della qualifica di pubblico ufficiale.
La vicenda presa in esame dalla Corte vede come soggetto attivo un avvocato che, delegato dal sindaco nell'ambito di diverse amministrazioni di sostegno e tutele, si appropriava di alcune somme di denaro appartenenti ai soggetti incapaci configurando così il reato di peculato

La difesa, rilevando sia la mancanza della disponibilità materiale delle somme sottratte sia la mancanza della qualifica di pubblico ufficiale, contestava la configurabilità stessa di tale reato.


La Corte ribadiva la qualifica di pubblico ufficiale in capo a soggetti che svolgono le funzioni di tutore e curatore, con conseguente integrabilità del reato di cui all'art. 314 codice penale in caso di condotta appropriativa delle somme appartenenti agli incapaci e ricevute in ragione dell'ufficio rivestito.

Ad avviso dei giudici di legittimità, il medesimo reato è altresì integrabile dall'amministratore di sostegno poichè  
"la verifica della reale attività esercitata e degli scopi perseguiti dall'amministratore di sostegno consente di attribuirgli, negli stessi termini del tutore, la veste e qualità di pubblico ufficiale, considerato il complesso delle norme a lui applicabili ed in particolare: 
a) la prestazione del giuramento prima dell'assunzione dell'incarico (art. 349 Cod.civ.); 
b) il regime delle incapacità e delle dispense (artt. 350-353 Cod. civ.); 
c) la disciplina delle autorizzazioni, le categorie degli atti vietati, il rendiconto annuale al giudice tutelare sulla contabilità dell'amministrazione (artt. 374-388 Cod. civ.); 
d) l'applicazione, nei limiti di compatibilità, delle norme limitative in punto di capacità a ricevere per testamento (artt. 596, 599 Cod. civ.) e capacità di ricevere per donazioni (art. 779 Cod. civ.)".


_____________________________________________________________________

 Bibliografia:



Cassazione: tutori e amministratori di sostegno sono pubblici ufficiali., http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_17056.asp

martedì 9 dicembre 2014

Ladylike vs LadyBindi: cercasi opzione di riserva




Dopo la controversa intervista rilasciata da Alessandra Moretti per il Corriere della Sera sul web si è scatenata un'onda anomala di commenti e endorsement a favore di ladylike o ladybindi.
Al di là delle colorite opinioni in merito l'argomento di fondo è di spessore e riguarda il tema della figura delle donne in politica.


Secondo la candidata a governatore del Veneto oggi in Politica deve prevalere lo stile "ladylike": ossia donna che piace con uno stile moderno, che adesso è il momento delle donne: la politica ora non può fare a meno di loro. Sono "belle, intelligenti ma soprattutto brave". Sempre e comunque: il diritto alla bellezza come guerra di civiltà. "Le critiche non mi fermeranno".



Difende a spada tratta le donne di governo Marianna Madia e Maria Elena Boschi, scelte perché "brave, preparate, prima ancora che belle,eleganti, con un loro stile personale". Al diavolo i critici da prendere di petto: "Ma che c'hai, che ti ho fatto? Ti do fastidio sono brava e bella? E' perchè ho gli occhi blu?"



Archiviata Rosy Bindi e il suo stile austero "che mortificava la femminilità", Alessandra Moretti  rivendica uno stile proprio nel fare politica senza acquisire uno stile maschile.

Afferma che "La bellezza in Politica viene da sempre incorniciata in un recinto negativo. In realtà la bellezza non è incompatibile con l'intelligenza". "Quando sei intelligente vieni attaccata, se sei pure bella sei attaccata ancora di più. Poi ovviamente ci sono casi tristissimi come l'ex consigliera regionale in Lombardia, Nicole Minetti": di cui dice che "la sua bellezza è stata utilizzata, non aveva le competenze".


A favore di LadyBindi invece si pone Giuseppe Cruciani: la Zanzara più irriverente della radio commenta con Formiche.net l’intervista di Alessandra Moretti, candidata del Pd a governatore del Veneto, a Corriere tv. Un’intervista tra lo choc e lo chic in cui l’europarlamentare renziana si autodefinisce “brava, intelligente e bella”, certifica lo stile “ladylike, che deve piacere” dell’era Renzi e critica lo stile della Bindi “che mortificava la bellezza”.



Ma che vorrà dire ‘ladylike?”, si domanda innanzitutto Cruciani, obiettando come non ci si possa auto-attribuire l’intelligenza e la bravura: “Non si hanno prove di queste qualità, è incredibile che Alessandra Moretti si autodefinisca così”, dice il giornalista.

Sono lontano mille miglia da Rosy Bindi – spiega Cruciani a proposito del passaggio contro l’ex segretario democrat– ma le parole della Moretti verso di lei sono centomila volte peggio rispetto alla storica battuta di Berlusconi, “più bella che intelligente”, che tanto indignò a sinistra. Quella del Cavaliere era solo una battuta, più o meno riuscita, quella della Moretti ha la pretesa di essere una cosa seria e proviene da un’esponente dello stesso partito”. Ecco perché, secondo Cruciani, l’europarlamentare veneta avrebbe fatto meglio a stare zitta.


Ciò che è veramente inedito in questa intervista è “l’ostentazione della bellezza, l’esplicitare alcuni particolari come le meche o la ceretta – fa notare il giornalista – anche qui se una politica di Forza Italia avesse detto come ha fatto la Moretti che va dall’estetista una volta a settimana, l’avrebbero massacrata”.



Bellezza sdoganata anche a Sinistra dunque? “Non è che prima di Renzi non c’erano politiche belle anche a sinistra ma è chiaro che il presidente del Consiglio getta un occhio anche su questo aspetto”, chiarisce Cruciani, secondo cui Moretti comunque non sdogana nulla: “Una ragazza carina, non molto di più, l’intervista è bellissima perché batte sull’unica cosa veramente interessante che la riguarda: la sua vita privata. Del resto non mi pare sia ricordata per un’idea originale o una particolare proposta politica. Di lei, vengono in mente il suo paragone tra Bersani e Cary Grant e le sue litigate con Andrea Scanzi in tv”.



Secondo il conduttore della celebre trasmissione su Radio24, l’impegno principale della Moretti è “stare in tv. Vive da tre anni in campagna elettorale permanente, prima con Bersani, poi con Renzi per l’europarlamento dove diceva che ‘il Pd deve mandare i migliori’ e ora, giusto perché l’Europa non deve essere utilizzata come un autobus, punta alla Regione Veneto”.

Ma lo stile “ladylike” qui non funzionerà, secondo Cruciani: “Ho grandi dubbi che il nord-est si faccia affascinare dallo stile ladylike, qui le questioni sono altre e penso che il metodo della Moretti possa risultare addirittura respingente”.


Se nell'intervista al Corriere la Moretti adotta un tono un po' frivolo e polemico verso Rosy Bindi e il suo stile, tuttavia nei contenuti fa alcune osservazioni innegabili: ossia il fatto che in politica le donne vengano sempre attaccate sul campo estetico, cosa che parimenti non accade ai colleghi maschi.



A sommesso avviso di chi scrive, non solo in Politica ma anche nell'ambiente lavorativo le donne dovrebbero avere la possibilità di avere il proprio stile senza dover copiare il piglio maschile: dove per "proprio stile" si intende la propria sensibilità e l'utilizzo delle migliori qualità femminili nella gestione delle problematiche lavorative: non certo la visita settimanale dall'estetista o l'abito sartoriale su misura.



Essere d'esempio per le donne che si rappresentano quando si è un personaggio pubblico è certamente un dovere morale e professionale ma dovrebbe intendersi primariamente a livello di principi, valori e condotta e non del look.



Rimane quindi da augurarsi che possa avanzare e prevalere una terza opzione ai due stili Ladylike e LadyBindi: donne in Politica che con serietà, sobrietà e buon gusto attendano ai propri doveri di amministratori della cosa pubblica senza indulgere a vanitosi autoscatti e mise à la page dove apparire conta più di essere. Questo senza però nemmeno cadere nell'eccesso opposto.

La via dell'equilibrio e del buon senso potrebbe aiutare in questa direzione: avere più LadySubstance e meno Ladyappearance non guasterebbe.


In conclusione lasciamo un piccolo quesito alle donne in Politica (ma vale per tutte): sarebbe il caso di dimostrare maggiore modestia nella celebrazione delle proprie virtù, secondo il saggio detto contadino secondo cui "Chi si loda s'imbroda"?

Ad avviso di chi scrive sarebbe auspicabile ma non aspettiamoci miracoli.


_____________________________________________________________________________

Bibliografia:

Huffington Post, Redazione, http://www.huffingtonpost.it/2014/11/18/alessandra-moretti-ladylike_n_6176932.html;
Fabrizia Argano, Formiche, http://www.formiche.net/2014/11/19/cosi-cruciani-smonta-lo-stile-lady-like-alessandra-moretti/

venerdì 5 dicembre 2014

Imu terreni: arriva la proroga



L'Imu dei terreni ex montani si avvia verso una proroga a giugno e il Governo punta a sfruttare questo tempo per individuare criteri più solidi con cui distinguere chi dovrà pagare da chi invece manterrà l'esenzione. 
Lo strumento tecnico per far slittare la scadenza, decreto legge da far confluire nella manovra o emendamento alla stessa legge di stabilità, sarà scelto a breve, ma la decisione politica è stata presa e sarà confermata stamattina dal sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta in risposta al question time al Senato. Nulla cambia, invece, per i terreni che già pagavano l'Imu con le vecchie regole.

La rivolta corale contro il decreto retroattivo spuntato in questi giorni, che ha coinvolto associazioni dell'agricoltura, professionisti e amministratori locali sta dunque per ottenere un primo risultato. 
Il rinvio sarà accompagnato da una forma di “accertamento convenzionale” dell'entrata, perché i 350 milioni che i proprietari non più esenti avrebbero dovuto pagare sono già stati spesi nel mosaico delle coperture al bonus da 80 euro e a dicembre i conti dei Comuni non possono più essere corretti.

A spingere definitivamente il Governo verso la proroga sono stati anche i pesanti smottamenti politici che l'apparizione del decreto aveva prodotto nella stessa maggioranza. Ieri 100 deputati del Pd hanno firmato la lettera promossa dai loro colleghi Enrico Borghi, Massimo Fiorio e Walter Verini per chiedere a Renzi e Padoan di spostare la scadenza. E anche nell'Ncd c'era aria di battaglia, come annunciato per esempio da Nunzia De Girolamo, ministro delle Politiche agricole nel Governo Letta e oggi presidente dei deputati alfaniani.

Il rinvio della scadenza, che con tutta probabilità sarà spostata a giugno 2015 in concomitanza con l'acconto della futura «tassa locale», è solo la prima mossa, perché anche i criteri utilizzati per individuare i nuovi contribuenti hanno bisogno di una revisione decisa se non vogliono andare incontro a un sicuro contenzioso. 

Per definire la geografia dei pagamenti il decreto ha diviso i Comuni in tre fasce, sulla base dell'«altitudine al centro», misurata cioè nel punto in cui si trova il municipio: l'esenzione totale sarebbe stata limitata ai Comuni con altitudine superiore a 600 metri, mentre fra 281 e 600 metri l'Imu avrebbe evitato solo i terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali e nei Comuni fino a 280 metri avrebbe invece coinvolto tutti.
I terreni, però, in genere non si trovano nella piazza centrale e un criterio così puntuale avrebbe finito per ignorare la geografia dei tanti Comuni, per esempio alle Cinque Terre o in Costiera Amalfitana, nel Monferrato oppure in Umbria, hanno il centro abitato a un'altitudine inferiore rispetto ad ampie aree del territorio.

Il problema nasce dal fatto che la “riforma” dell'Imu agricola è partita dalla coda, cioè dall'esigenza di trovare in qualche modo i 350 milioni già scritti nel decreto sul bonus Irpef. L'amministrazione, a quanto risulta, aveva tentato qualche strada alternativa, considerando per esempio la media fra il terreno più alto e quello più basso oppure un'altitudine indicativa calcolata sull'ampia maggioranza (l'80%) del territorio comunale, ma secondo i calcoli un sistema di questo tipo non sarebbe riuscito a raggranellare più di 300 milioni. 

I mesi aggiuntivi che il Governo sta per darsi potrebbero servire anche per trovare in qualche altro modo i 50 milioni mancanti, una cifra non impossibile per un bilancio pubblico da 800 miliardi. Sempre che le stime reggano alla prova dei fatti, perché l'allegato al decreto con le cifre divise per Comune è stato subito contestato da parecchie amministrazioni locali.
 L'ostacolo fondamentale è stato rappresentato dal calendario: la revisione delle esenzioni è prevista fin da aprile, ma il decreto attuativo è spuntato solo a pochi giorni da una scadenza che avrebbe imposto a milioni di contribuenti di versare tutta l'Imu dell'anno.
_______________________________________________________________


Bibliografia:

Gianni Trovati, Il Sole 24ore, http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2014-12-04/imu-terreni-arriva-rinvio-080639.shtml?rlabs=1

lunedì 1 dicembre 2014

Approvata la riforma del Jobs Act




 I punti focali della riforma sono TRE: 

1) contratti e costo del lavoro; 
2) ammortizzatori e centri per l’impiego; 
3) rappresentanza sui luoghi di lavoro, contrattazione salariale e partecipazione dei lavoratori.

Per ora il Governo, è solo al primo punto, infatti per ora il Jobs Act è fermo all’accordo sul contratto a tutele crescenti e la contestuale revisione dell’articolo 18
Nella legge delega sono previste anche la riforma degli ammortizzatori e dei centri per l’Impiego, non è invece prevista per nulla la riforma della rappresentanza e della contrattazione. 
Il Jobs Act potrà essere un successo solo se si è d’accordo sugli obiettivi: il numero di 800 mila posti di lavoro sono da intendere come sostitutivi e non addizionali.

In un paese che cresce allo zero per cento e in cui le previsioni per l’occupazione l’anno prossimo sono +0,1 per cento (cioè circa 20 mila posti), 800 mila posti di lavoro saranno per la maggior parte delle trasformazioni da contratti a tempo determinato a contratti a tempo indeterminato o dei contratti che altrimenti sarebbero stati forme contrattuali flessibili di ogni tipo o lavoro autonomo ma non contratti a tempo indeterminato.
Meglio essere chiari fin da subito sull’obiettivo, per evitare che l’anno prossimo abbia ragione chi dice che il Jobs Act non ha creato un solo posto di lavoro: ne creerà quei 20 mila previsti dall’Istat ma avrà rivoluzionato il modo in cui gli imprenditori pensano ai contratti a tempo indeterminato.
Se avrà successo, il Jobs Act scardinerà la percezione che il contratto a tempo indeterminato è costoso sul piano monetario e rischioso sul piano dell’impossibilità di licenziare un dipendente anche in caso di difficoltà economiche dell’azienda. 
Un contratto a tempo indeterminato, anche se non più protetto dalla tutela reale dell’articolo 18, non è la stessa cosa di un contratto a termine.
In un contratto a termine non c’è bisogno di licenziamento, il contratto semplicemente scade e non viene rinnovato; nel contratto a tempo indeterminato il licenziamento deve comunque essere motivato e può essere comunque impugnato. 
Incentivare i contratti a tempo indeterminato non è operazione da poco: solo nel contratto a tempo indeterminato è possibile l’investimento del lavoratore nella sua azienda e dell’azienda nel lavoratore. La produttività sarà maggiore, piuttosto bisognerà pensare a come incentivare la mobilità del lavoro dai vecchi contratti tutelati dall’articolo 18 a quelli nuovi meno tutelati ma per questo probabilmente meglio retribuiti.
Chi crede che sull’articolo 18 si consumi la battaglia più difficile si sbaglia: la riforma degli ammortizzatori e quella dei centri per l’impiego sconvolge due certezze culturali altrettanto granitiche: la prima è la cassa integrazione; la seconda è la cultura del posto fisso

A differenza che sull’articolo 18 per cui la decisione alla fine deve essere netta (reintegro sì o reintegro no), le riforme della cassa integrazione e dei centri dell’impiego sono meno visibili e le scelte da prendere meno nette. Proprio per questo si rischia di finire nei compromessi peggiori. 

La cassa integrazione è stata fondamentale per arginare la crisi di molte aziende. Serve in misura uguale alle aziende, che risolvono con l’aiuto pubblico le crisi occupazionali, e ai lavoratori che hanno sussidi spesso assai lunghi.
La cassa integrazione è stata spesso concessa “in deroga” cioè a imprese che non avevano pagato i contributi, e per durate così lunghe che invece di aiutare i lavoratori a sostenersi durante un periodo temporaneo di difficoltà delle aziende, li ha convinti di aver diritto ad un posto di lavoro che ormai non c’era più. La spesa per la cassa integrazione andrà ridotta e spostata sui sussidi di disoccupazione, che non implicano il mantenimento (virtuale) del posto di lavoro ma richiedono (almeno in principio) la volontà di ricollocamento del lavoratore. Sarà difficile convincere lavoratori e imprese nonché il Parlamento che servono durate certe per la cassa integrazione e la contribuzione di tutte le imprese sopra i 15 dipendenti.

I centri per l’impiego andranno riformati superando le resistenze culturali di un paese in cui l’articolo 18 non solo ti proteggeva nel posto di lavoro ma spesso ti portava fino alla pensione. 
L’Italia non ha mai avuto la cultura della ricollocazione dei lavoratori, anche per questo i centri dell’impiego non hanno al loro interno le competenze e le professionalità per dare un servizio efficiente.
A questo punto le scelte obbligate sono due: la collaborazione con le agenzie del lavoro private in quanto il servizio pubblico non ha né il personale né le risorse necessarie; la centralizzazione per garantire un livello minimo di servizio ed avere la possibilità di imporre standard di pagamento a risultato (lo Stato paga le agenzie solo quando il lavoratore è stato ricollocato). 
Entrambe le direttrici di scelta dovranno superare diversi ostacoli, in primis il Titolo V della Costituzione che assegna alle regioni la competenza per le politiche attive.

In ultimo dopo aver riformato le regole su assunzioni e licenziamenti, gli ammortizzatori sociali e i centri per l’impiego, per avere qualche speranza di aumentare davvero i posti di lavoro bisognerà in qualche modo metter mano anche ai salari. Di solito è il tema delle parti sociali e non del governo. Dopo venti anni di attesa nel gennaio del 2014 sindacati e Confindustria hanno siglato un accordo sulla rappresentanza e contrattazione nei luoghi di lavoro. Da gennaio l’accordo è inattuato e di questo passo potremmo attendere i prossimi venti anni per la sua applicazione.

È necessaria una legge che determini il numero massimo dei rappresentanti in azienda, chi può essere eletto rappresentante, i rappresentanti eletti che cosa possono decidere e infine le sanzioni per chi non rispetta gli accordi votati a maggioranza. Da questo punto di vista il clima di contrapposizione tra governo e sindacati renderà difficile determinare per legge le regole di rappresentanza sui posti di lavoro anche per quelle imprese che non riconoscono gli accordi di gennaio.
__________________________________________________________________________________

Bibliografia:

Testo definitivo approvato in Senato: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00814374.pdf

Marco Leonardi, Europa, http://www.europaquotidiano.it/2014/12/01/jobs-act-tre-punti-per-rivoluzionare-il-mondo-del-lavoro-delloccupazione/


mercoledì 26 novembre 2014

Utero in affitto, il no della Cassazione alla maternità surrogata




Cassazione civile Sentenza, Sez. I, 11/11/2014, n. 24001

Il caso
Una coppia di coniugi italiani ottiene in Ucraina  l’atto di nascita di un figlio, che si assume essere stato concepito tramite il ricorso alla maternità surrogata. Nella pendenza di un procedimento penale per il contestato reato di alterazione di stato,  sospettandosi la non veridicità della dichiarazione di nascita, la  Procura minorile chiede dichiararsi lo stato di abbandono del bimbo.

La decisione della Corte di Cassazione
Il Tribunale per i minorenni, con sentenza confermata in sede di gravame, dichiara lo stato di abbandono del bambino, collocato nel frattempo presso una coppia fra quelle dichiarate idonee all’adozione nazionale, essendo emerso nel corso nel giudizio che il bambino, sotto l’aspetto genetico, non era figlio di coloro che formalmente ne risultavano genitori. La Corte di Cassazione conferma a sua volta la decisione impugnata, sviluppando diverse considerazioni in ordine alla pratica della maternità per surrogazione.



La maternità surrogata in Italia e all’estero

La decisione stimola alcune riflessioni. Come è noto, l’art. 12 comma sesto della l. 40/2004 sanziona penalmente chiunque realizza “in qualsiasi forma” la surrogazione di maternità, ossia ricorre a tecniche di riproduzione con le quali una donna porta a termine una gravidanza per conto di un’altra (e dunque accetta l’inserimento in utero di un embrione formato in vitro con un proprio ovocita, ovvero di altra donna), cui consegnerà il nato, in modo che risulti figlio della committente.  


Si tratta, in buona sostanza, di quello che viene chiamato, in maniera del tutto atecnica, “utero in affitto”. Il divieto della surrogazione di maternità, nel nostro ordinamento, si ricollega al disposto dell’art. 263 comma terzo c.c. (rimasto inalterato anche dopo la recente riforma sulla filiazione), in base al quale madre è colei che partorisce. Non è dunque possibile l’attribuzione della maternità a donna differente da colei cha ha partorito, e ciò pure nell’ipotesi in cui il nato non sia geneticamente figlio della medesima: d’obbligo richiamare quanto deciso, in sede cautelare, da una recente ordinanza  molto nota, resa nella dolorosa vicenda dello scambio di embrioni tra due coppie, che si erano entrambe risolte ad un’inseminazione artificiale di tipo omologo. 


Il divieto di surrogazione di maternità è rimasto inalterato, pur a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 2014: la Consulta infatti ha dichiarato illegittimo il solo divieto di fecondazione eterologa, di cui all’art. 4 comma terzo l. 40/2004, rendendo così possibile, anche in Italia, alla donna sterile di avere una gravidanza tramite donazione di ovocita di altra donna, fecondato con lo spermatozoo del proprio marito o partner. In questo caso, nell’atto di nascita verrà correttamente indicata come madre colei  che ha partorito, pur in difetto di un qualsiasi legame di tipo genetico con il nato.

Alcuni Paesi, contrariamente all’Italia, ammettono invece la surrogazione di maternità (basti pensare all’Ucraina, cui si fa riferimento nella sentenza in esame, all’India, ma pure al Regno Unito), disciplinando in modo preciso il contenuto dell’accordo negoziale, in forza del quale viene eseguito l’intervento, con  conseguenziale formazione dell’atto di nascita, in favore della madre committente.
Il riconoscimento in Italia di atti di nascita per maternità surrogata all’estero


In questi ultimi anni diverse coppie italiane si sono rivolte all’estero per avere un figlio tramite la tecnica della surrogazione di maternità. I problemi sono sorti, al momento del rientro in Italia, quando è stata richiesta la trascrizione dell’atto  di nascita formato in quei Paesi. 

Sotto il profilo strettamente penale, si è per lo più correttamente esclusa la ricorrenza della fattispecie dell’alterazione di stato, essendo l’atto di nascita regolarmente formato all’estero, secondo la legge locale; talune pronunce hanno semmai ravvisato gli estremi del più lieve reato della falsa dichiarazione all’ufficiale dello stato civile,  mentre altre hanno escluso la rilevanza penale della condotta.


Dal punto di vista più strettamente civilistico, si sono prospettate varie possibili situazioni: in primis, richiedere la nomina di curatore speciale al minore, perché esercitasse l’azione di contestazione, ovvero l’impugnazione del riconoscimento (qualora la madre committente non fosse stata sposata). 


Vero è però che lo status di figlio della madre committente è stato acquisito legittimamente all’estero, in forza di una tecnica che di per sé presuppone l'insussistenza di un legame genetico; come è noto l’art. 18 del dpr 396/2000 esclude che gli atti formati all’estero possano essere trascritti in Italia se contrari all’ordine pubblico. Se anche, come osserva la Cassazione, il divieto di dar corso a tecniche di maternità surrogata appartiene all’ordine pubblico, esso peraltro dovrebbe ritenersi operativo solo in relazione a condotte tenute nello Stato italiano penalmente perseguibili.  

Altrettanto non pare possa dirsi per gli atti formati all’estero, in conformità alla legislazione locale (cfr. al riguardo Trib. Napoli 1° luglio 2011, in Corr. merito 2012,!,13). Del resto, l’esercizio dell’azione di status sarebbe poco appagante, là dove non sia contestato che il figlio, proprio in quanto nato da surrogazione di maternità, non appartiene biologicamente alla madre sociale. In altre occasioni, sono stati pure aperti procedimenti de potestate ex art. 333 c.c., ma anche ex art. 8 ss l. 184/1983, per la declaratoria dello stato di adottabilità,  talora definitisi con un provvedimento di non luogo a provvedere,  attesa l’indubbia capacità genitoriale della coppia, pur a fronte di una nascita in modo differente dall’usuale (cfr. ad es. Trib. min. Milano 1° agosto 2012 e 6 settembre 2012, entrambi in Nuova giur. civ. 2013,I,712).   

Anche nel caso di specie si è aperto un procedimento, volto alla declaratoria di stato di adottabilità del bambino. La peculiarità della fattispecie osta peraltro alla formulazione di regole generali (ed in questo senso la decisione annotata suscita qualche perplessità). Risulta infatti che la coppia (relativamente avanti negli anni),  che si era risolta in Ucraina alla surrogazione di maternità, avesse visto già respinta per ben tre volte una domanda di adozione “per grosse difficoltà nell’elaborazione di una sana genitorialità adottiva”; per di più non solo la moglie, ma nemmeno il marito era legato da un rapporto genetico con il figlio, come confermato da una consulenza tecnica, licenziata nel corso del procedimento.


La decisione in commento

Come già anticipato, la surrogazione di maternità (che il nostro legislatore vieta) può essere effettuata, utilizzando un ovocita della futura gestante, ma anche di una donna terza: in questo secondo caso, può prospettarsi, sotto il profilo fenomenologico, la contemporanea configurabilità di tre “madri”: quella committente (o sociale), quella genetica e quella portante. 
Nella specie, a quanto risulta dalla sentenza in esame, sarebbe stata violata la stessa legge ucraina (ossia la legge del luogo, ove era nato il bambino ed era stato formato l’atto di nascita quale figlio della coppia committente). 
Detta legge, rileva la Suprema Corte, richiede infatti che il 50% del patrimonio genetico del nato sia riferibile a coloro che, nell’atto di nascita sono indicati come genitori. Come anticipato, nemmeno il marito della madre committente era però padre del bimbo, il cui status non corrisponde affatto a quello indicato nell’atto di nascita, in relazione ad entrambe le figure genitoriali (e ciò a prescindere dagli esiti del procedimento penale pendente per il reato di alterazione di stato). 
Dunque, proprio in relazione al caso specifico, può giustificarsi l’affermazione della sentenza in esame per la quale l’ordinamento italiano affida all’istituto dell’adozione “realizzata con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale piuttosto che all’accordo delle parti, la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico”.

Le medesime affermazioni non paiono invece poter essere estese alle nascite a seguito di maternità surrogata, in forza di accordi validi ed efficaci, secondo la legge del luogo ove si è formato l’atto di nascita. L’assolutezza del principio affermato dalla Suprema Corte (per cui “il divieto di pratiche di surrogazione di maternità è certamente di ordine pubblico, come suggerisce già la previsione della sanzione penale, di regola posta appunto a presidio di beni giuridici fondamentali”, quali, “la dignità umana –costituzionalmente tutelata della gestante e l’istituto dell’adozione”) non pare possa ostare al riconoscimento dello status filiationis, acquisito legittimamente all’estero, certamente in quelle situazioni in un figlio sia geneticamente del marito (o del partner) della donna committente. 

 A fortiori, quando uno dei componenti la coppia genitoriale sia biologicamente legato al figlio, non potrebbe di per sé configurarsi stato di abbandono, quando il minore goda di un ambiente familiare idoneo alla sua crescita nel nucleo del padre e della moglie (o compagna) che abbia condiviso il progetto di genitorialità tramite la  maternità per surrogazione.

Del resto, la stessa Corte EDU, con due recenti decisioni, emesse il 26 giugno 2014 nei confronti della Francia aveva condannato lo Stato transalpino al risarcimento patito dai figli di due coppie francesi coniugate, nati in America con il ricorso alla maternità surrogata, i cui atti nascita non erano stati trascritti, stante la nullità, in quell’ordinamento, dei contratti relativi a detto tipo di maternità (e ciò pur essendo indubbia la paternità biologica del marito della madre committente). 

Osserva correttamente la Cassazione, che la CEDU ha rilevato come debba essere lasciato agli Stati un ampio margine di appezzamento nel prendere decisioni in ordine alla maternità surrogata, in considerazione delle complesse questioni etiche sottese alla materia, tenuto pure conto della mancanza di una legislazione omogenea in Europa. La Corte ha  nel contempo evidenziato la necessità di tener adeguato conto la tutela del diritto alla vita privata e familiare dei figli minori, configurandosi nella specie, violazione dell’art. 8 CEDU.

L'ordinamento italiano, per il quale madre è colei che partorisce (art. 269 comma terzo c.c.) contiene, all'art. 12 comma sesto della l. 40/2004, un espresso divieto della surrogazione di maternità, ossia della pratica per cui una donna si presta ad avere una gravidanza e a partorire un figlio per un'altra donna. 
Il divieto, la cui violazione è penalmente sanzionata, è ispirato al rispetto dell'ordine pubblico, venendo in rilievo la dignità umana della gestante e l'istituto dell'adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto.


___________________________________________________________________________________



Bibliografia:



Alberto Figone, Il Quotidiano Giuridico, http://www.quotidianogiuridico.it

Gazzetta Ufficiale, Cassazione civile Sentenza, Sez. I, 11/11/2014, n. 24001

 

martedì 25 novembre 2014

No more plastic bag pollution in Europe!





 
La vita in mezzo alla plastica non è così fantastica, dopo tutto.  
I Sacchetti di plastica sono stati accusati di inquinare l'ambiente, gli ecosistemi acquatici in particolare. Oggi la Commissione Ambiente vota su proposta negoziata dal Parlamento e dal Consiglio per ridurre l'uso dei sacchetti di plastica più comuni e più inquinanti

Secondo le nuove regole gli Stati membri potrebbero vietare i sacchetti di plastica gratuiti per i clienti entro il 2018 oppure garantire che il consumo medio di essi non superi i 90 in un anno a persona entro il 2019.

La portata del problema
Nel 2010 sono state utilizzate 200 borse a persona per tutti coloro che vivevano in Europa, secondo una stima da parte del Servizio europeo di ricerca parlamentare.

Nuova legislazione
Secondo la proposta che sta per essere votata dalla commissione ambiente, gli Stati membri potrebbero scegliere di vietare i sacchetti di plastica gratuiti per i clienti entro il 2018, oppure adottare misure per garantire che il consumo medio di queste borse scenda a 90 in un anno per ogni persona entro il 2019 e a 40 entro il 2025.


Tratto da articolo pubblicato dal sito del parlamento Europeo http://www.europarl.europa.eu/news/en/news-room/content/20141120STO79704/html/No-more-plastic-bags-polluting-our-environment

venerdì 21 novembre 2014

Regime dei minimi 2015






Giungono importanti novità in merito al Regime dei Minimi 2015 per i possessori di Partite IVA: il Sottosegretario Zanetti ha infatti presentato uno specifico emendamento alla Legge di Stabilità chiedendo che il regime impositivo transiti dall’attuale 5 all’8%
 Zanetti vorrebbe in particolare venisse modificata la norma contenuta nella stessa Legge di Stabilità in base alla quale il nuovo Regime dei Minimi 2015 per i possessori di Partite IVA transiterà dal 5 al 15%, previsione che ha fatto andare su tutte le furie i diretti interessati anche e soprattutto per via del fatto che Renzi in persona aveva promesso una Legge di Stabilità ‘senza un euro di tasse in più per i cittadini’. 
Tra questi continuano a essere esclusi i possessori di Partite IVA, già colpiti nel recente passato dalla promessa, ovviamente non mantenuta, di vedersi esteso il famoso bonus IRPEF da 80 euro
Prima di addentrarsi nel Regime dei Minimi 2015 per i possessori di Partite IVA ipotizzato da Zanetti è bene riallacciare le fila del discorso cercando di capire che cosa preveda la norma ‘gemella’ contenuta in Legge di Stabilità.

La Legge di Stabilità interviene sul Regime dei Minimi 2015 valido per i possessori di Partite IVA prevedendo un inasprimento della tassazione, che passerebbe dal 5 al 15%, e una diversificazione dei meccanismi di accesso a seconda delle categorie di appartenenza: per poter fruire del Regime dei Minimi 2015 i possessori di Partite IVA qualificati come professionisti dovranno in particolare mantenersi entro i 15mila euro l’anno, mentre artigiani e commercianti potranno fatturare sino ad un massimo di 40mila euro. 

Il nuovo Regime dei Minimi 2015 per i possessori di Partite IVA, lo ricordiamo, non verrà comunque applicato a chi è già inquadrato con l’attuale regime – che prevede un massimo di ricavi quantificato in 30mila euro e un regime impositivo fisso a quota 5% -, con la conseguenza che i diretti interessati potranno continuare a fruire dell’attuale configurazione sino ai 35 anni di età o sino alla scadenza dei 5 anni dall’avvenuta apertura della partita IVA a condizioni agevolate. 

Il nuovo Regime dei Minimi 2015 per i possessori di Partite IVA 

Con l'emendamento ipotizzato dal Sottosegretario Zanetti prevede uno sgravio dell’incremento fiscale che passerebbe dal 15% ipotizzato in Legge di Stabilità ad un più contenuto dell'8%. L’emendamento prevede inoltre un imponibile assoggettabile a tassazione ricompreso tra i 26 e i 30mila euro e il venir meno del limite dei 5 anni per poter fruire del regime agevolato, che se strutturato con queste caratteristiche risulterebbe utilizzabile in modalità continuativa senza limiti temporali

Regime dei Minimi 2015 per possessori di partite IVA: ma il regime ordinario conviene di più?

Il nuovo Regime dei Minimi 2015 per i possessori di partite Iva configurato in Legge di Stabilità continua a detenere una strutturazione tale che lo renda più conveniente di quello ordinario? Bhè, per qualcuno no. 
Prendiamo il caso di un lavoratore autonomo, un libero professionista che guadagni meno di 15mila euro e che risulti dunque con le carte in regola per fruire del nuovo Regime dei Minimi 2015 specifico per i possessori di partite Iva. 
Il vecchio regime converrebbe certamente di più dato che prevede una detrazione d’imposta per lavoro autonomo pari a 952 euro con un’incidenza fiscale complessiva pari al 13,6% in luogo del 15% previsto dal nuovo Regime dei Minimi 2015. 
Discorso diverso per chi detiene un reddito da seconda attività: in tal caso infatti, il reddito percepito verrebbe tassato comunque al 15% senza che vengano prese in esame le altre fonti reddituali, ecco che una simile aliquota risulterebbe comunque molto più conveniente di un eventuale assoggettamento al regime IRPEF che entrerebbe in gioco nel caso di redditi superiori ai 15mila euro (e dunque al di fuori del nuovo Regime dei Minimi 2015). 

Esempi più concreti circa la maggiore o minore convenienza ad aprire partita Iva col nuovo Regime dei Minimi 2015 ci vengono da Il Sole 24 Ore, che ha analizzato la situazione impositiva di alcuni soggetti tipo assunti come campione: se un giovane architetto con il vecchio regime aveva a che fare con un carico fiscale di 1120,10 euro, con il nuovo Regime dei Minimi 2015 dovrà far fronte a 1463,29 euro di imposte; discorso simile per un artigiano ex dipendente, che nel passaggio dal vecchio al nuovo Regime dei Minimi 2015 transiterebbe da 4045,40 a 4311,66 euro. 
A prescindere da cosa accadrà, chi ha già aperto partita Iva con l’attuale regime potrà continuare a sfruttarne l’impostazione sino ai 5 anni dall’avvenuta apertura o fino al compimento dei 35 anni di età, per chi invece sta valutando sul da farsi il consiglio è quello di ponderare bene o al limite di affrettarsi per tentare di aprire partita Iva con l’attuale Regime dei Minimi e dunque entro la fine dell’anno. A questo punto non resta che attendere l’esito dell’emendamento Zanetti, se desiderate rimanere aggiornati cliccate il tasto ‘Segui’ poco sotto il titolo del pezzo.

Certo la questione connessa alla configurazione del nuovo Regime dei Minimi 2015 per i possessori di Partite IVA si carica di particolari significati, specie perché vengono ad essere coinvolti numerosi giovani lavoratori che hanno tentato la via della Partita IVA anche per via del regime agevolato; sorprende la natura stessa della manovra dato che Renzi ha da sempre dichiarato come tra gli obiettivi del suo governo vi sia la lotta alla disoccupazione giovanile, da scandirsi con  una serie di misure che agevolino per l’appunto le giovani generazioni. 
Un inasprimento della tassazione per i possessori di Partite IVA con Regime dei Minimi 2015 non va certo in questa direzione; l’emendamento di Zanetti è al momento al vaglio delle due Aule, non rimane che attenderne gli sviluppi.




Bibliografia

Massimo Calamunerihttp://it.blastingnews.com/lavoro/2014/11/partite-iva-regime-dei-minimi-2015-aliquote-norme-e-confronto-col-regime-ordinario-00176511.html

IVA ebook diminuita dal 22% al 4%? No, l'Europa non lo permette






Approvato l'emendamento presentato da Dario Franceschini relativo alla diminuzione dell'IVA sugli Ebook, dal 22% al 4%.

Dopo la campagna di sensibilizzazione #unlibroèunlibro il Ministro Franceschini si era preso l'impegno di presentare in Commissione l'emendamento.
Come promesso ha mantenuto l'impegno preso via tweet.

Questa è un'ottima notizia per i lettori e la cultura, in quanto permetterà una maggiore diffusione del libro elettronico, diffusione che finora era stata contenuta proprio a causa dei prezzi, ancora troppo alti rispetto al formato cartaceo. Speriamo che questa novità possa dare una svolta al mercato degli Ebook.

La lettura apre la mente ed è la strada che porta a una società più giusta ed equa.
Esprimiamo a Dario Franceschini, Ministro della Cultura il nostro plauso per questa importante iniziativa.
Il cambiamento arriva anche dalle piccole cose.

ERRATA CORRIGE:

A causa dell'incompatibilità dell'emendamento con la legislazione europea, l'IVA rimane al 22%.
Della serie: tanto rumore per nulla?
Al grido di #unlibroèunlibro, il ministro per i Beni e le attività culturali e il Turismo Dario Franceschini aveva annunciato l'approvazione da parte della Commissione bilancio dell'emendamento per portare l'IVA sugli eBook al 4 per cento.

La modifica alla Legge di Stabilità fortemente voluta da Palazzo Chigi prevede anche la copertura del mancato gettito generato, calcolato in 7,2 milioni di euro l'anno: saranno recuperati dal fondo per gli interventi strutturali di poltica economica.

Nonostante la soddisfazione espressa dall'Associazione Italiana Editori, la mossa del Governo italiano, in realtà, potrebbe essere solo simbolica se non addirittura dannosa: se non cambia l'impostazione europea l'Italia rischierà una procedura per infrazione ed una multa da parte di Bruxelles.

Bruxelles sembra destinata a bocciare le mediazioni guidate da Italia e Francia che stanno cercando di portare avanti le istanze favorevoli all'abbassamento dell'IVA degli ebook fino a livello di quella prevista per i libri cartacei.

Il problema è che gli ebook sono equiparati ai dispositivi elettronici e agli altri beni digitali e per questo hanno una tassazione superiore (al momento in Italia 22 per cento, contro il 4 per cento di cui godranno quelli cartacei dal prossimo gennaio): una tassazione differente costituirebbe - secondo Bruxelles - un aiuto statale illecito al settore.

Il Presidente dell'Associazione Italiana Editori (AIE) Marco Polillo, in ogni caso, ha continuato a professare ottimismo nella battaglia per l'abbassamento dell'IVA sugli ebook al livello di quella sui libri cartacei: "Andiamo avanti, siamo certi e fiduciosi dell'impegno del ministro Franceschini e dell'Italia in sede europea per la battaglia contro la discriminazione dell'IVA degli ebook rispetto a quella dei libri di carta". Polillo per far valere le sue ragioni ha lanciato la campagna #unlibroéunlibro confidando nel fatto che "che il Parlamento italiano possa trovare una soluzione per la cultura del nostro paese": d'altronde, spiega ancora, si tratta di una "campagna di buonsenso contro gli egoismi nazionali e contro una visione dell'Europa assolutamente burocratica".

La UE, già nel 2012 è intervenuta sulla tassazione dei libri digitali multando Francia e Lussemburgo che l'avevano abbassata rispettivamente al 7 e al 3 per cento ed obbligandole a riallinearla a quella degli altri paesi (15 per cento) e per il momento sembra aver bocciato tutti i tentativi di mediazione in materia portati avanti da Italia e Francia.

Per Bruxelles il problema rimane ideologico: gli ebook sono equiparati ai beni e servizi digitali e per questo hanno una tassazione superiore (al momento in Italia 22 per cento) ed una tassazione differente costituirebbe dunque un aiuto statale illecito al settore.

D'altra parte, come osserva Stefano Quintarelli, alla tassazione è legato anche un problema di interpretazione: quando acquistano un ebook gli utenti si ritrovano in realtà con una licenza d'uso (un servizio per definizione) e non un prodotto che possono liberamente gestire in piena autonomia. Quindi con l'Iva dovrebbe cambiare anche la gestione di questo tipo di beni. Ulteriore problema è poi quello della transnazionalità dei negozi digitali che li vendongo: Amazon ha sede in Lussemburgo, Apple e Kobo ancora altrove, e mentre ora l'Iva è calcolata in base alla nazione dove il libro viene vendut dal 2015 sarà calcolata in base al Paese dell'acquirente.

D'altronde, per quanto al momento il Parlamento italiano sembri allineato sulla volontà di abbassare l'IVA sugli ebook, senza un cambio di rotta continentale ogni cambiamento è impossibile: la UE, d'altra parte, già nel 2012 è intervenuta sulla tassazione dei libri digitali multando Francia e Lussemburgo che l'avevano abbassata rispettivamente al 7% e al 3% ed obbligandole a riallinearla a quella degli altri paesi (15%).

Bibliografia:

Claudio Tamburrino, Punto Informatico, http://punto-informatico.it/4191666/PI/News/ebook-un-pugno-iva.aspx; http://punto-informatico.it/4187896/PI/News/iva-e-book-speranze-deluse-dall-europa.aspx;
Raffaella Natale, http://www.key4biz.it/ebook-iva-4-commissione-bilancio-approva-lemendamento/;
Marco Zatterin,  La Stampa, http://www.lastampa.it/2014/11/17/economia/gli-ebook-come-i-videogame-lue-boccia-liva-agevolata-cmJf56trr3OxZaH077YD7K/pagina.html;
Antonello Salerno, Corriere Comunicazioni, http://www.corrierecomunicazioni.it/it-world/30863_e-book-appello-bipartisan-iva-al-4-con-la-legge-di-stabilita.htm.

giovedì 20 novembre 2014

IVA al 4% anche per gli ebook: la promessa via tweet di Dario Franceschini




IVA al 4% anche per gli ebook, perché un libro è un libro qualunque sia il suo supporto o la sua forma. 

E se questa battaglia è in auge ormai da tempo, in queste ore sta vivendo il suo momento più importante: la pubblica dichiarazione su Twitter di Dario Franceschini, ministro della Cultura, spezza infatti una lancia nei confronti dell’iniziativa e ne concretizza gli intenti trasformando un hashtag in un emendamento.

Da Twitter al Palazzo, insomma, per mano del ministro: la battaglia lanciata dall’Associazione Italiana Editori ha trovato l’appoggio che mancava ed ora può guardare con maggior fiducia a quella che è sì una guerra di odore economico, ma che si fa forza anche di un saldo principio di equità. 

La disuguaglianza di trattamento tra libri cartacei e libri digitali, infatti, è un tappo alle possibilità dell’innovazione nel settore, svilendo gli investimenti degli editori e bloccando la crescita laddove invece cultura e impresa avrebbero bisogno di un incentivo.
 Poi il tweet che cambia tutto: «Ho appena presentato emendamento del Governo per portare IVA Ebook al 4% Una battaglia giusta». 

Immediato il plauso dell’AIE: l’associazione ha raggiunto l’obiettivo minimo di porre il problema all’attenzione della politica, ma ora dovrà perseverare nel proprio sforzo per raggiungere la concretizzazione definitiva del taglio sull’imposta sul valore aggiunto. Le dichiarazioni AIE giungono a firma del presidente Marco Polillo:
Apprendiamo che il Ministro Franceschini ha presentato un emendamento alla legge di stabilità per equiparare l’Iva degli ebook a quella dei libri cartacei. Desidero esprimere come Presidente dell’AIE e a nome di tutti gli editori, gli autori e i sostenitori della campagna #unlibroèunlibro i nostri più sentiti ringraziamenti al Ministro Franceschini, al Presidente Renzi e a tutto il Governo per aver accolto la forte istanza proveniente da tutto il mondo del libro e aver deciso di voltare pagina rispetto ad una discriminazione senza senso. Siamo molto fiduciosi che si possa arrivare a una rapida e condivisa approvazione dell’emendamento in considerazione dell’impegno profuso in queste fasi da parlamentari di maggioranza e di opposizione tra i quali gli on. Piccoli Nardelli, Causi, Palmieri, Giordano, Caparini e Librandi che nei giorni scorsi avevano già presentato emendamenti in tal senso. Anche a loro va tutta la nostra gratitudine.
La bontà della battaglia intrapresa è tutta nella parola “equiparazione”: l’AIE non sta chiedendo trattamenti speciali per gli ebook ma, piuttosto, una semplice equiparazione di fronte al fisco dei libri digitali rispetto a quelli cartacei. E il motivo è tutto nel nome dell’iniziativa: un libro è un libro, come dice l’hashtag, come dicono centinaia di utenti che ne hanno condivisi i principi e come dice ora anche il ministro della Cultura.
Già alla Fiera internazionale del libro di Francoforte, il ministro aveva detto: «Trovo giusto e condivido pienamente lo slogan dell’iniziativa». E giovedì aveva ribadito in una nota: «Un libro è un libro indipendentemente dal suo formato, solo un incomprensibile meccanismo burocratico può consentire un regime fiscale discriminatorio per gli ebook (Iva al 22% contro il 4% del libro cartaceo, ndr)».
Più in dettaglio, precisano dal Mibact, quello di Franceschini è un emendamento all’articolo 17 della legge di stabilità 2015 e «prevede, ai fini della imposta sul valore aggiunto, di considerare libri tutte le pubblicazioni identificate da codice Isbn e veicolate attraverso qualsiasi supporto fisico o tramite mezzi di comunicazione elettronica». L’Iva sugli ebook – prosegue il Mibact – viene in questo modo «abbassata al 4% ed equiparata a quella prevista per i libri cartacei, superando così un regime fiscale discriminatorio sulla lettura».  Le risorse del mancato gettito, pari a 7,2 milioni di euro l’anno, saranno coperte dal fondo per interventi strutturali di politica economica.
I problemi, però, restano in Europa, dove solo la Francia condivide la linea italiana e se ne è fatta a sua volta portavoce (Parigi ha abbassato unilateralmente l’Iva al 7%, rischiando la condanna della Corte). Tra i Paesi favorevoli, Olanda, Grecia, Slovenia e Lussemburgo. Ma non basta. E sono quasi nulle le speranze che il  Consiglio dei ministri europei della Cultura del 25 novembre possa arrivare alla posizione unanime sull’equiparazione dell’Iva sugli ebook a quella sui libri cartacei.


Credits:


Giacomo Dotta, http://www.webnews.it/2014/11/19/franceschini-iva-ebook
articolo tratto dal sito www.europaquotidiano.it
Alessia Rastelli, Corriere della Sera http://ehibook.corriere.it/2014/11/20/iva-sugli-ebook-franceschini-presenta-emendamento-per-abbassarla-al-4/

mercoledì 19 novembre 2014

Abolizione esenzione Imu per i terreni: stangata per duemila comuni con lo Sblocca-Italia






L'esenzione IMU totale per i terreni è destinata a rimanere solo in 1.578 Comuni, invece dei 3.524 attuali: altri 2.568 saranno invece caratterizzati da un'esenzione parziale, limitata ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali.
Il cambio di regole sta per essere pubblicato e si applica già dal 2014, per cui i proprietari dovranno pagare entro il 16 dicembre l'imposta di tutto l'anno.

L'impatto dello Sblocca – Italia su edilizia e infrastrutture. Meno vincoli per le ristrutturazioni, i recuperi e le opere urgenti

Semplificare le procedure e spingere l'acceleratore su attività edilizia e infrastrutture sono gli obiettivi che ispirano il Dl Sbocca-Italia.
Con lo Sblocca-Italia si allarga il raggio di azione dell'edilizia libera, gli interventi cioè di manutenzione e piccola trasformazione realizzabili con semplice comunicazione di inizio attività (Cil) asseverata da un progettista.
Frazionamenti e accorpamenti diventano liberi e gratuiti purché non alterino i volumi, così come le opere di manutenzione straordinaria. Per dare fiato al mercato immobiliare, il decreto introduce sconti Irpef per chi acquista immobili da destinare all'affitto a canone concordato.

Accelerazione anche in caso di appalti per cui sono previste deroghe al Codice: per un ampio ventaglio di opere urgenti: sicurezza delle scuole, dissesto idrogeologico, rischio sismico, tutela del patrimonio ambientale e culturale. Gli affidamenti dei lavori di queste tipologie potranno avvenire senza gara fino a 5,2 milioni. Commissariamenti e risorse per 3,9 miliardi di euro puntano invece a sbloccare le infrastrutture.

___________________________________________________________________________________

Bibliografia
Il Sole 24 Ore, http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-11-18/addio-esenzione-sole-24-ore-stangata-imu-2mila-comuni-204946.shtml