I punti focali della riforma sono TRE:
1) contratti e costo del lavoro;
2) ammortizzatori e
centri per l’impiego;
3) rappresentanza sui luoghi di lavoro,
contrattazione salariale e partecipazione dei lavoratori.
Per ora il Governo, è solo al primo punto,
infatti per ora il Jobs Act è fermo all’accordo sul
contratto a tutele crescenti e la contestuale revisione dell’articolo
18.
Nella legge delega sono previste anche la riforma degli
ammortizzatori e dei centri per l’Impiego, non è invece prevista per
nulla la riforma della rappresentanza e della contrattazione.
Il Jobs
Act potrà essere un successo solo se si è d’accordo sugli obiettivi: il
numero di 800 mila posti di lavoro sono da intendere come sostitutivi e
non addizionali.
In un paese che cresce allo zero per cento e in cui le previsioni per
l’occupazione l’anno prossimo sono +0,1 per cento (cioè circa 20 mila
posti), 800 mila posti di lavoro saranno per la maggior parte delle
trasformazioni da contratti a tempo determinato a contratti a tempo
indeterminato o dei contratti che altrimenti sarebbero stati forme
contrattuali flessibili di ogni tipo o lavoro autonomo ma non contratti a
tempo indeterminato.
Meglio essere chiari fin da subito sull’obiettivo, per evitare che
l’anno prossimo abbia ragione chi dice che il Jobs Act non ha creato un
solo posto di lavoro: ne creerà quei 20 mila previsti dall’Istat ma avrà
rivoluzionato il modo in cui gli imprenditori pensano ai contratti a
tempo indeterminato.
Se avrà successo, il Jobs Act scardinerà la percezione che il
contratto a tempo indeterminato è costoso sul piano monetario e
rischioso sul piano dell’impossibilità di licenziare un dipendente anche
in caso di difficoltà economiche dell’azienda.
Un contratto a tempo
indeterminato, anche se non più protetto dalla tutela reale
dell’articolo 18, non è la stessa cosa di un contratto a termine.
In un contratto a termine non c’è bisogno di licenziamento, il
contratto semplicemente scade e non viene rinnovato; nel contratto a
tempo indeterminato il licenziamento deve comunque essere motivato e può
essere comunque impugnato.
Incentivare i contratti a tempo
indeterminato non è operazione da poco: solo nel contratto a tempo
indeterminato è possibile l’investimento del lavoratore nella sua
azienda e dell’azienda nel lavoratore. La produttività sarà maggiore,
piuttosto bisognerà pensare a come incentivare la mobilità del lavoro
dai vecchi contratti tutelati dall’articolo 18 a quelli nuovi meno
tutelati ma per questo probabilmente meglio retribuiti.
Chi crede che sull’articolo 18 si consumi la battaglia più difficile
si sbaglia: la riforma degli ammortizzatori e quella dei centri per
l’impiego sconvolge due certezze culturali altrettanto granitiche: la
prima è la cassa integrazione; la seconda è la cultura del posto fisso.
A
differenza che sull’articolo 18 per cui la decisione alla fine deve
essere netta (reintegro sì o reintegro no), le riforme della cassa
integrazione e dei centri dell’impiego sono meno visibili e le scelte da
prendere meno nette. Proprio per questo si rischia di finire nei
compromessi peggiori.
La cassa integrazione è stata fondamentale per
arginare la crisi di molte aziende. Serve in misura uguale alle aziende,
che risolvono con l’aiuto pubblico le crisi occupazionali, e ai
lavoratori che hanno sussidi spesso assai lunghi.
La cassa integrazione è stata spesso concessa “in deroga”
cioè a imprese che non avevano pagato i contributi, e per durate così
lunghe che invece di aiutare i lavoratori a sostenersi durante un
periodo temporaneo di difficoltà delle aziende, li ha convinti di aver
diritto ad un posto di lavoro che ormai non c’era più. La spesa per la
cassa integrazione andrà ridotta e spostata sui sussidi di
disoccupazione, che non implicano il mantenimento (virtuale) del posto
di lavoro ma richiedono (almeno in principio) la volontà di
ricollocamento del lavoratore. Sarà difficile convincere lavoratori e
imprese nonché il Parlamento che servono durate certe per la cassa
integrazione e la contribuzione di tutte le imprese sopra i 15
dipendenti.
I centri per l’impiego andranno riformati superando le resistenze
culturali di un paese in cui l’articolo 18 non solo ti proteggeva nel
posto di lavoro ma spesso ti portava fino alla pensione.
L’Italia non ha
mai avuto la cultura della ricollocazione dei lavoratori, anche per
questo i centri dell’impiego non hanno al loro interno le competenze e
le professionalità per dare un servizio efficiente.
A questo punto le scelte obbligate sono due: la collaborazione con le
agenzie del lavoro private in quanto il servizio pubblico non ha né il
personale né le risorse necessarie; la centralizzazione per
garantire un livello minimo di servizio ed avere la possibilità di
imporre standard di pagamento a risultato (lo Stato paga le agenzie solo
quando il lavoratore è stato ricollocato).
Entrambe le direttrici di
scelta dovranno superare diversi ostacoli, in primis il Titolo V della
Costituzione che assegna alle regioni la competenza per le politiche
attive.
In ultimo dopo aver riformato le regole su assunzioni e
licenziamenti, gli ammortizzatori sociali e i centri per l’impiego, per
avere qualche speranza di aumentare davvero i posti di lavoro bisognerà
in qualche modo metter mano anche ai salari. Di solito è il tema delle
parti sociali e non del governo. Dopo venti anni di attesa nel gennaio
del 2014 sindacati e Confindustria hanno siglato un accordo sulla
rappresentanza e contrattazione nei luoghi di lavoro. Da
gennaio l’accordo è inattuato e di questo passo potremmo attendere i
prossimi venti anni per la sua applicazione.
È necessaria una legge che determini il numero massimo dei
rappresentanti in azienda, chi può essere eletto rappresentante, i
rappresentanti eletti che cosa possono decidere e infine le sanzioni per
chi non rispetta gli accordi votati a maggioranza. Da questo punto di
vista il clima di contrapposizione tra governo e sindacati renderà
difficile determinare per legge le regole di rappresentanza sui posti di
lavoro anche per quelle imprese che non riconoscono gli accordi di
gennaio.
__________________________________________________________________________________Bibliografia:
Testo definitivo approvato in Senato: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00814374.pdf
Marco Leonardi, Europa, http://www.europaquotidiano.it/2014/12/01/jobs-act-tre-punti-per-rivoluzionare-il-mondo-del-lavoro-delloccupazione/
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