Tutte le donne di Prassagora

Tutte le donne di Prassagora
Pride and Prejudice, Jane Austen

mercoledì 16 dicembre 2015

In memory of Jane Austen

Photo credits: Repubblica su Tumblr:
 http://repubblicait.tumblr.com/
Oggi 16 dicembre, nasceva a Steventon, in Inghilterra, la scrittrice Jane Austen.

Fu una delle più grandi autrici di romanzi, figura di spicco della narrativa preromantica nonché tra le autrici del panorama letterario inglese più famose e conosciute al mondo.

Sono particolarmente legata a quest'autrice, di cui apprezzo lo stile sagace e capace di ritrarre, come una telecamera, i personaggi delle sue opere, rendendoli più che mai reali. 

Ciò che amo di più tuttavia, è la sua capacità di dissacrare con ironia le ipocrisie delle convenzioni sociali dell'epoca, senza tuttavia lasciare un'impressione di negatività al lettore. Ogni sua opera si chiude sempre con un lieto fine, forse quello che a lei è stato negato in vita.

Una curiosità: nel 2010, in occasione del 235° anno dalla nascita di Jane Austen Google ha dedicato all'autrice il doodle del giorno:



Vi riporto una breve biografia tratta da Wikipedia:


Biografia:


Penultima di otto figli, sei maschi e due femmine (James, George, Edward, Henry Thomas, Francis William Frank, Charles John, Jane e Cassandra Elizabeth), fu legata particolarmente alla sorella Cassandra (che, come l'autrice, rimase nubile), con la quale intrattenne una fitta corrispondenza, andata per la maggior parte distrutta.

Jane trascorse il primo anno della sua vita insieme a una balia, come era uso per l'epoca. Crebbe in un ambiente vivace e culturalmente stimolante; il padre si occupò personalmente della sua educazione insegnandole il francese e le basi della lingua italiana e contribuì alla sua crescita letteraria grazie ad una collezione di libri che contava circa 500 volumi.
Nel 1783, secondo le consuetudini familiari, Jane e Cassandra andarono a Oxford e in seguito a Southampton per approfondire la loro istruzione. Dal 1785 al 1786 le due sorelle frequentarono la Abbey School di Reading e tornarono a casa nel dicembre di quell'anno.

Tra il 1787 e il 1793 Jane Austen scrisse i suoi Juvenilia, tre raccolte, dai toni umoristici o gotici, di racconti, poesie, bozze di romanzi e parodie che emulavano la letteratura dell'epoca e che erano scritti per divertire la ristretta cerchia di conoscenti. Tutti i brani sono infatti dedicati ad amici e parenti ad eccezione di Edgar ed Emma. Amore e amicizia, il più famoso tra gli Juvenilia, è una parodia in forma epistolare dei racconti romantici; le protagoniste (Laura, Isabel e Marianne) descrivono per corrispondenza le proprie emozioni amorose con toni forti e violenti dimenticando il decoro e il buon senso. Austen tratterà approfonditamente questo tema pochi anni dopo col personaggio di Marianne Dashwood in Ragione e sentimento.

Nel dicembre del 1795 Austen conobbe Thomas Langlois Lefroy, il nipote di alcuni vicini di Steventon, per il quale inizia a provare un attaccamento; la famiglia Lefroy ritenne la figlia del reverendo Austen inadeguata socialmente per il giovane Tom e decise di allontanarlo da Steventon già nel gennaio del 1796. Data la dipendenza economica del giovane Lefroy dal prozio che si occupava dei suoi studi per indirizzarlo all'attività legale, il matrimonio fu così impossibile.

Tra il 1795 e il 1799 Austen iniziò la stesura di quelli che diventeranno i suoi lavori più celebri: Prime impressioni, prima bozza di Orgoglio e pregiudizio ed Elinor e Marianne che divenne Ragione e sentimento. Nel 1795 lavorò anche a un racconto epistolare, Lady Susan, e scrisse, appunto, il suo primo romanzo Elinor e Marianne. Nel 1796 iniziò a lavorare al suo secondo romanzo Prime impressioni, terminato nell'agosto del 1797 all'età di soli 21 anni.

Colpito dalle doti letterarie della figlia, George Austen, nello stesso anno, contattò un editore proponendo la pubblicazione di Prime impressioni ma senza ottenere alcun esito positivo. Tra il 1797 e il 1798 la Austen rielaborò Elinor e Marianne eliminandone lo stile epistolare e avvicinandolo molto alla stesura finale di Ragione e sentimento.
Terminata la revisione iniziò la stesura di un nuovo romanzo che la impegnerà per circa un anno, inizialmente intitolato Susan, poi diventato L'abbazia di Northanger, satira del romanzo gotico molto in voga ai tempi di Austen. Venduto nel 1803 per 10 sterline da Henry Austen a un editore, Benjamin Crosby, non fu pubblicato finché gli Austen non ne riacquistarono i diritti nel 1816.

Nel dicembre del 1800 il Reverendo Austen decise di lasciare Steventon per trasferirsi a Bath seguito dalla famiglia. Durante il soggiorno nella città Jane scrisse I Watson, rimasto incompleto, e lavorò ad alcune modifiche di Susan.
A Bath il padre morì improvvisamente nel 1805, lasciando la moglie e le due figlie in precarie condizioni finanziarie seppur aiutate da Edward, James, Henry e Francis Austen.

Nel 1806 le tre donne si trasferirono a Southampton, dal fratello Frank, e successivamente, nel 1809, a Chawton, un piccolo villaggio dell'Hampshire a pochi chilometri dal loro luogo di origine, dove il fratello Edward mise a disposizione della madre e delle sorelle un cottage di sua proprietà.
L'editore Egerton pubblicò, nel gennaio del 1813, Orgoglio e pregiudizio, ultima revisione di Prime impressioni.



Il romanzo fu accolto immediatamente molto bene e già nell'ottobre dello stesso anno ne fu stampata una seconda edizione. Nel 1812 iniziò la stesura di Mansfield Park, terminato e pubblicato nel 1814, ne furono vendute tutte le copie in sei mesi.

Sempre nel 1814 iniziò la stesura di Emma, concluso nel 1815 e pubblicato nel dicembre dello stesso anno da John Murray, noto editore di Londra. Emma fu l'ultimo romanzo di Jane Austen pubblicato in vita. Infatti il suo ultimo e più maturo romanzo, Persuasione (che scrisse nel 1815), fu pubblicato postumo nel dicembre del 1817 insieme a L'abbazia di Northanger.

Nel 1816 Austen si ammalò gravemente. Tra le varie ipotesi la più accreditata è quella che la Austen fosse stata colpita dal malattia di Addison, a quel tempo incurabile; nel 1817 la sorella Cassandra la condusse a Winchester, in cerca di una cura adeguata, ma in quella città la Austen morì e fu sepolta nella cattedrale.
Ancora oggi si può vedere il cottage dove visse gli ultimi tempi della sua vita e dove morì. Negli ultimi mesi di vita aveva continuato a scrivere iniziando la stesura di Sanditon, una satira sul progresso e sulle sue conseguenze, rimasto incompiuto a causa dell'aggravarsi della sua malattia. 
Nel suo testamento indicò di lasciare tutto ciò che aveva a sua sorella e la somma di 50 sterline al fratello.

I suoi romanzi furono pubblicati anonimamente, semplicemente con indicazioni quali "by a Lady" o "by the autor of Sense and Sensibility". Nonostante in alcuni circoli aristocratici il nome dell'autrice fosse noto, solo con la pubblicazione postuma de L'Abbazia di Northanger e Persuasione il fratello Henry rivelò il nome dell'autrice al pubblico.

In vita Jane non lasciò mai la sua famiglia e morì nubile come la sorella; dopo la sua morte, la sorella Cassandra, e in seguito i fratelli e i loro discendenti, distrussero gran parte delle lettere e delle carte private che le erano appartenute. Il nipote J. E. Austen-Leigh ne scrisse una biografia, A memoir of Jane Austen, pubblicata nel 1869; in essa la Austen viene presentata come una signorina esemplare, presa dalla vita domestica e dedita solo incidentalmente alla letteratura.

Pur vivendo nel periodo delle guerre napoleoniche, Austen non tratta mai nei suoi romanzi gli avvenimenti bellici. Le milizie di passaggio sono sullo sfondo degli eventi a lei più cari: le cerchie ristrette della provincia, le storie d'amore e la vita quotidiana.
Con ironia e arguzia illustra i personaggi che popolano la campagna inglese e che influenzano il sogno di felicità matrimoniale delle sue eroine.

Le donne sono il fulcro fondamentale di ogni romanzo, facendo di Jane Austen "una delle prime scrittrici a dedicare l'intero suo lavoro all'analisi dell'universo femminile" o, con le parole di Virginia Woolf, "l'artista più perfetta tra le donne".

L'ironia di Jane Austen non risparmia nessuno, neanche le sue eroine, di cui descrive pregi e difetti in maniera implacabile. Attraverso poche battute sarcastiche il lettore inquadra i personaggi senza la necessità di lunghe dissertazioni.

Le donne devono possedere virtù come la moderazione e il buon senso che vincono sulla spontaneità e la passione, come dimostra il diverso destino che la Austen riserva alla ragionevole Elinor e all'impetuosa Marianne in Ragione e sentimento.
La timida Fanny Price di Mansfield Park e la remissiva Anne Elliot di Persuasione attendono pazientemente il loro momento conquistando l'amore.
Ma anche Elizabeth Bennet coi suoi pregiudizi, la viziata Emma Woodhouse e la sognatrice Catherine Morland maturano e capiscono l'importanza della riflessione giungendo al, sempre presente, matrimonio desiderato.

La quotidianità diventa un importante soggetto narrativo: le abitudini, i luoghi e le classi sociali sono elementi essenziali per lo svolgimento degli eventi.

I paesaggi influenzano i caratteri, la riservata campagna è contrapposta alla corrotta città e ai suoi abitanti contro i quali l'autrice si schiera.

L'egoismo dei ricchi (i Ferrars, i Bertram) e l'avidità dei nobili (gli Elliot, Lady Catherine de Bourgh) sono gli ostacoli da superare per raggiungere la felicità.




Cinema e Televisione

La televisione e il cinema hanno prodotto numerose trasposizioni delle opere della Austen tra cui le più famose sono: "Pride and Prejudice" con Keira Knightley e Matthew MacFadyen (2005) e con Greer Garson e Laurence Olivier (1940); "Ragione e sentimento" del 1995 con Emma Thompson, Kate Winslet, Hugh Grant e Alan Rickman; "Emma" del 1948 diretto da  Michael Barry e del 1996 con Gwyneth Paltrow e Jeremy Northam; "Persuasione" del 1995 diretto da Roger Michell, con Amanda Root e Ciaran Hinds.
Da ricordare anche Becoming Jane, un film semi-biografico che racconta i primi anni della vita di Jane Austen, interpretata da Anne Hathaway, e incentrato sul suo rapporto con Thomas Langlois Lefroy, interpretato da James McAvoy.

Famosa è anche la serie televisiva "Pride and Prejudice" del 1995, con Jennifer Ehle e Colin Firth.

giovedì 26 novembre 2015

Stop violence against women

Il 25 novembre è la Giornata contro la violenza sulle donne eppure nonostante le numerose manifestazioni contro questa piaga sociale, c'è ancora chi si ostina a ritenere che siano giustificabili in una qualche misura le violenze. Anche nei casi in cui la violenza provoca la morte della donna.

Negli ultimi anni di femminicidio (o anche femicidio) si sente parlare parecchio a causa dei casi emersi dalle pagine di cronaca nera.

Ma cosa si intende con questo termine?
Non si tratta solo dell’“uccisione di una donna o di una ragazza”, ma anche di
qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”. 
Questa è la definizione di femminicidio del Devoto-Oli 2009, ma il termine è attestato anche nel dizionario Zingarelli a partire dal 2010 e nel Vocabolario Treccani online, mentre Gradit 2007 ha femicidio registrato anche nei Neologismi Treccani 2012 come “femmicidio o femicidio”.



Ci sono state e ancora ci sono resistenze all’introduzione di questo termine, quasi fosse immotivato o semplicemente costituisse un voler forzatamente distinguere tra delitto e delitto semplicemente in base al sesso della vittima; quasi fosse un neologismo frutto di una delle tante mode linguistiche più che del bisogno di nominare un nuovo concetto.


Al di là delle resistenze all'accettazione del termine femminicidio, i dati che riportano i casi di violenza sono alquanto allarmanti e riportano una maggior incidenza per i casi di violenza domestica, piuttosto che da sconosciuti e in cui vi è una forte tendenza alla bassa scolarizzazione di coloro che perpetuano queste violenze.


Quali soluzioni?

Ovviamente creare un reato ad hoc non basta. Occorre incidere sulla cultura al rispetto non solo delle donne, ma dell'altro.

Pian piano sta cambiando la percezione del fenomeno, soprattutto nelle nuove generazioni, che si mostrano più ricettive e sensibili rispetto a queste tematiche.
Molto rimane ancora da fare, ma continuare a parlarne è sicuramente un passo imprescindibile.

Inoltre il supporto alle donne che subiscono violenze deve essere anche di tipo psicologico ed economico, nei casi in cui le donne rimangono col compagno violento perché non sono indipendenti economicamente o hanno figli a cui pensare.

C'è chi dice che la violenza contro le donne è ormai una piaga sconfitta in Italia.
Purtroppo i dati di osservatori e centri anti-violenza ci mostrano una realtà diversa.



venerdì 13 novembre 2015

Elogio della Gentilezza

Il 13 novembre si celebra la giornata dedicata alla gentilezza.

Ma cos'è la Gentilezza?
Gentilezza è amabilità, garbo, cortesia nel trattare gli altri. Può essere una qualità ereditaria o acquisita attraverso l'esercizio della virtù o con l'elevatezza dei sentimenti.

Un atto di gentilezza al momento giusto può fare tanto.  Come un raggio di sole in una giornata nuvolosa rischiara il cielo, in modo sorprendente e inaspettato, ci fa avere un pizzico in più di speranza nel prossimo.

Può innescare un circolo virtuoso negli altri, come ci mostra questo video:


Buona giornata della gentilezza allora, una delle caratteristiche che fanno di Cenerentola una delle eroine più amate delle fiabe con il suo motto:
"Sii gentile e abbi coraggio"
In un mondo sempre più frenetico dove siamo tutti stressati e distratti, la gentilezza è qualcosa che non riconosciamo più come la regola, ma come eccezione.
Non ci attendiamo alcun gesto di gentilezza dal prossimo, anzi per lo più è imperante il menefreghismo.
Spesso non solo non c'è gentilezza, ma nemmeno educazione.
D'altra parte siamo sempre pronti a dare la colpa agli altri di ciò che ci accade. Ci aspettiamo che siano gli altri a venire verso di noi, come se ci fosse dovuto.

Dedicare una giornata alla gentilezza dovrebbe essere un modo per farci rendere conto che il comportamento che teniamo verso gli altri può fare la differenza sulla qualità delle nostre giornate.

Ringraziare, salutare, dare una mano se vediamo qualcuno in difficoltà, o anche solo fare un sorriso, dovrebbero essere comportamenti standard da tenere.

Per esperienza posso dire che non è affatto semplice essere gentile nei confronti di persone sgradevoli e aggressive, senza un minimo di tolleranza verso il prossimo, come se la sola presenza li infastidisse e il fatto di essere gentili fosse estremamente irritante per loro, se non ridicolo.

La realtà è che tali persone sono spesso molto sole e tristi e sfogano la loro infelicità sugli altri.
Comportarsi così però non credo sia di grande aiuto nemmeno per loro. Anzi allontana tutti, anche quelle persone a cui si vorrebbe piacere.

Essere sociopatico è una "malattia" sempre più diffusa infatti.
In un mondo costantemente connesso sembra davvero un ironico contrappasso.
Certo non basta essere gentili un giorno all'anno. Così come non basta esser buoni solo sotto Natale.

Forse se pensassimo un po' meno a noi stessi e un po' di più agli altri e ci rendessimo conto che non esistiamo solo noi, anche il mondo in cui viviamo sarebbe un po' meno buio.






giovedì 5 novembre 2015

Vivien Leigh, l'eterna Rossella

Vivien Leigh è una tra le più celebri attrici teatrali e cinematografiche britanniche; se fosse ancora in vita oggi avrebbe compiuto 102 anni.

***

Nella sua trentennale carriera, fu una prolifica attrice non solo di cinema, ma anche e soprattutto di teatro, diretta più volte dal secondo marito Laurence Olivier, genere in cui interpretò ruoli molto differenti che vanno dalle eroine delle commedie di Noël Coward e George Bernard Shaw, a quelle delle tragedie shakespeariane.

Il suo volto sarà per sempre legato a Rossella (Scarlett) O'Hara, la protagonista del celeberrimo film Via col vento, vincitore di ben 8 premi Oscar, oltre a due premi speciali.

Nata in India il 5 novembre 1913 (come Vivian Mary Hartley) da un alto funzionario inglese delle colonie poco prima della Prima guerra mondiale, Vivian visse in quell'esotico continente fino all'età di sei anni.
Fu la madre a trasmetterle l'amore per il teatro e per la letteratura, narrandole storie della mitologia greca e indiana oltre che le opere di Rudyard Kipling, Lewis Carroll e Hans Christian Andersen.

Successivamente la famiglia si stabilì in Inghilterra dove Vivien frequentò una scuola gestita da suore, il convento del Sacro Cuore di Roehampton, dove divenne amica della futura attrice Maureen O'Sullivan, alla quale espresse per la prima volta il proprio desiderio di svolgere questa professione.
Fu un'infanzia complicata per la piccola Vivien, costretta a subire i rigidi sistemi imposti per darle un'educazione sufficientemente adeguata.

A diciotto anni, spinta dalla vocazione artistica e dalla consapevolezza della sua eccezionale bellezza, si iscrisse all'Accademia di Londra (R.A.D.A.).

Attratta dal teatro, ma interessata anche alla nuova forma di spettacolo che va prendendo sempre più piede: il cinema fece il suo ingresso nel mondo dorato dei set americani nel 1932.
Un anno prima, poco meno che ventenne, era già convolata a nozze con l'avvocato Hubert Leigh Holman.

Il 12 ottobre 1933 nacque la loro figlia Suzanne: malgrado il lieto evento, la vita matrimoniale e la maternità non risultarono congeniali all'irrequieta indole di Vivian e non la distolsero dalle sue ambizioni artistiche e dall'entusiasmo con cui affrontò i saggi all'Accademia e i primi lavori come modella pubblicitaria.

Colpito dall'interpretazione della Leigh in "The Mask of Virtue", Laurence Olivier la incontrò per congratularsi: tra i due nacque un'amicizia che si trasformò in attrazione reciproca due anni dopo, quando interpretarono il ruolo di due amanti nel film Elisabetta d'Inghilterra (1937).

Alla fine delle riprese divenne chiara la relazione tra i due, nonostante lui fosse sposato con l'attrice Jill Esmond. La Leigh e Olivier iniziarono una convivenza, malgrado i rispettivi coniugi rifiutassero entrambi di accordare loro il divorzio.

Fu nel 1938 che arrivò la grande occasione, vero e proprio biglietto vincente chiamato "Via col vento", film tratto dal fortunatissimo romanzo di Margaret Mitchell.
Fu con questo film che Vivien Leigh vinse un Oscar.

Affascinata dalla lettura di "Via col vento", popolare romanzo di Margaret Mitchell, nel febbraio 1938 Vivien aveva chiesto al suo agente americano di segnalarla al produttore David O. Selznick, che stava preparando una riduzione cinematografica dell'opera e che aveva organizzato un'imponente campagna pubblicitaria per trovare l'interprete adatta al ruolo della protagonista Rossella O'Hara.

Quando Myron Selznick, che era anche agente di Laurence Olivier, la conobbe personalmente, capì che aveva tutte le caratteristiche che il fratello David stava da tempo cercando per la protagonista di Via col vento, con l'unica pecca dell'accento inglese incompatibile con il personaggio di Rossella O'Hara, un'americana del Sud.
Condusse Vivien sul set il 10 dicembre 1938, mentre avvenivano le primissime riprese del film, ovvero l'incendio della città di Atlanta, e la presentò a David O'Selznick e al regista George Cukor, in seguito sostituito da Victor Fleming.

Il produttore rimase entusiasta della bellezza della Leigh, del suo temperamento e della vitalità con cui affrontò i provini. L'attrice vinse la concorrenza delle ultime tre candidate che ancora ambivano al ruolo dell'indomita Rossella, ovvero Paulette Goddard, Jean Arthur e Joan Bennett, e dopo pochi giorni ottenne la parte, iniziando a lavorare con impegno e determinazione per modificare il proprio accento inglese.

Ad inficiare il valore di questa scelta da parte dei produttori non mancano le malelingue. Qualcuno nell'ambiente subito sostenne che avesse approfittato della relazione instaurata, malgrado la fede nuziale al dito, con il celebre Laurence Olivier.

Al di là di come andarono realmente le cose, il successo del film non modificò più di tanto la personalità della Leigh, da sempre più interessata al teatro che al cinema. In questo, fu una diva piuttosto anomala nel panorama hollywoodiano, avendo girato nell'arco della carriera, nonostante le numerose offerte, solo una ventina di film.

Nel febbraio del 1940 Jill Esmond si arrese e concesse il divorzio a Olivier, mentre lo stesso fece Holman con Vivien Leigh, conservando però una stretta amicizia con lei, che durerà tutta la vita; sia la Esmond che Holman ottennero la custodia dei rispettivi figli.

Lawrence Oliver e Vivien Leigh in "Romeo and Juliet"
Il 30 agosto dello stesso anno, Vivien Leigh sposò Laurence Olivier a Santa Barbara (California), con una cerimonia civile a cui furono presenti solo i due testimoni, l'attrice Katharine Hepburn e lo scrittore e sceneggiatore Garson Kanin.

Nel 1941 girarono insieme Il grande ammiraglio, una delle tante pellicole che Hollywood realizzò con l'obiettivo di spingere il pubblico americano a un sentimento pro-britannico.
Il film, in cui Olivier e la Leigh interpretarono i ruoli di Horatio Nelson e della sua amante Emma Hamilton, ebbe grande successo al punto che Winston Churchill, che per molti anni intrattenne rapporti di amicizia con la coppia, ne organizzò una proiezione privata durante una festa cui partecipò anche Franklin Delano Roosevelt.

La depressione delle donne che interpretava sullo schermo era anche la sua.
Dalla capricciosa Rossella di "Via col vento" alla psicotica Blanche di "Un tram chiamato desiderio" (altro Oscar nel 1951, al fianco di Marlon Brando), i ritratti femminili di Vivien Leigh riflettevano la sua stessa debolezza di vivere e le sue stesse ansie interiori.

L'irrefrenabile passione per il fumo (pare che durante le riprese di "Via col vento" fumasse quattro pacchetti di sigarette al giorno) e una terribile depressione sembravano condannarla, e la situazione non migliorò di certo dopo l'allontanamento da Olivier nonostante sembrasse che i rapporti tra i due fossero sempre ottimi.

Trascorse gli ultimi anni di vita con l'attore John Merival, fino a che una grave forma di tubercolosi, da cui era affetta da più di vent'anni, se la portò via il 7 luglio 1967 all'età di cinquantatré anni.

Nel settembre del 2006 un sondaggio inglese l'ha incoronata la "più bella britannica di tutti i tempi". La sua battuta finale "Domani è un altro giorno" ha sicuramente fatto storia.

martedì 3 novembre 2015

Crimson Peak

Crimson Peak è un film del 2015 scritto e diretto da Guillermo Del Toro.
I protagonisti sono Mia Wasikowska, Jessica Chastain, Tom Hiddleston e Charlie Hunnam.

Ambientato nella cupa Inghilterra del nord all'inizio del '900, racconta la storia di Edith Cushing (Mia Wasikowska), giovane ereditiera e aspirante scrittrice di un ricco industriale americano.


Orfana di madre, Edith fin da piccola soffre di strane allucinazioni, da quando le è apparso il fantasma della madre, scomparsa prematuramente a causa del colera che la metteva in  guardia: "Stai lontana da Crimson Peak".

Passano diversi anni: Edith è ormai cresciuta e vive una vita assai appartata in compagnia del padre e dei suoi adorati scritti, quando incontra il misterioso e affascinante baronetto inglese Thomas Sharpe (Tom Hiddleston), venuto a Buffalo per ottenere un finanziamento dal padre di Edith per la sua invenzione.
Non ci vuole molto perché Edith si innamori di lui, nonostante il padre e un caro amico di famiglia, il dottor McMichael siano contrari.
In breve tempo accetta di sposarlo e dopo l'improvvisa morte del padre, da Buffalo si trasferisce a vivere nell'abitazione vittoriana degli Sharpe, in Inghilterra, assieme al marito e alla sorella di lui, la riservata e talentuosa pianista Lucille (Jessica Chastain).

Allerdale Hall, è un castello sulla via dello sfacelo, edificato su una cava di argilla rossa e in essa sta lentamente quanto inesorabilmente sprofondando.
Un bel cambiamento dall'industrializzata cittadina di Buffalo e dall'alta società americana a un'isolata residenza nella campagna inglese!

La vita di Edith, aspirante scrittrice di storie di fantasmi, si trasforma ben presto in un incubo.
Cominciano ad apparirle terrificanti fantasmi di donne che sembra vogliano non solo spaventarla ma offrirle inquietanti frammenti di fatti del passato.


Non riuscendo ad avere risposte in proposito né dal marito, che ogni notte scompare misteriosamente, né dalla cognata, decide di scoprire da sola cosa si nasconde dietro alle inquietanti apparizioni.
Cominciando a investigare in giro per la casa, pian piano mette insieme i pezzi della storia celata tra quelle mura.
Fino ad arrivare alla soluzione del mistero, una soluzione che svelerà molto più di quanto Edith avrebbe voluto scoprire.

Crimson Peak è un horror che trascina lo spettatore in un'epoca diversa, in una dimensione tra reale e gotico, a portarlo a immedesimarsi nella coraggiosa protagonista, giovane donna indipendente e alquanto determinata nel cercare la verità, quale che sia.


Il film gira intorno al legame tra la casa e i protagonisti, ciò che c'è intorno a questa e il passato: il regista crea così un originale equilibrio tra ciò che c'è in primo piano e ciò che c'è sullo sfondo, tra storia principale e storie secondarie.

Con un eccellente Tom Hiddleston e una perfetta Jessica Chastain, il film crea delle indovinate suggestioni nello spettatore, mentre Mia Wasikowska appare quanto mai azzeccata nei panni di una novella Mary Shelley, dopo aver già vestito quelli di Alice in Wonderland, fiaba horror per eccellenza.








martedì 27 ottobre 2015

Entro il 2020 un piano per la Scuola Digitale



Oggi 27 ottobre è stato presentato al MIUR il Piano nazionale per la Scuola Digitale, articolato su tre livelli: formazione, infrastrutture e contenuti.

Saranno stanziati fondi pari a un miliardo di euro in cinque anni per “riposizionare il modello educativo nazionale all'interno di una società che ha il digitale come elemento pervasivo” con una strategia complessiva che “è un piano di innovazione non solo infrastrutturale, ma anche di contenuti”. 

Questo è il quadro del Piano nazionale scuola digitale presentato dal ministro dell’Istruzione Stefania Giannini con l’obiettivo di riportare il sistema scolastico italiano al livello degli altri paesi sviluppati, colmando il gap che oggi emerge da tutte le statistiche internazionali. 


Il piano prevede una serie di azioni concrete che pongono “la digitalizzazione della scuola all’interno di una strategia complessiva del Governo per il rilancio del sistema paese”.
Adeguare le infrastrutture portando la fibra ottica e la banda ultralarga negli istituti, formare i docenti all'utilizzo delle competenze digitali, affrontare i temi di sicurezza, privacy e cyberbullismo  e curare il raccordo tra scuola e imprese, sono solo alcune delle azioni previste dal piano, che puntano a una ponderata educazione digitale in cui il modello educativo sia incentrato sullo studente che diventa soggetto attivo nell'interazione con il docente. Tra le innovazioni viene previsto l'obiettivo di portare il coding a tutta la scuola primaria e l'istituzione di un Osservatorio tecnologico presso il Miur per il monitoraggio dell'evoluzione del piano per le eventuali rimodulazioni in corso d'opera.

Per la “formazione in servizio per l'innovazione didattica e organizzativa” sono previste risorse di 10 milioni di euro l'anno da investire nell'arco del quinquennio. Lo scopo è fare in modo che anche il docente più estraneo alle nuove tecnologie acquisisca competenze digitali, richieste per insegnare alle generazioni di studenti "nativi digitali".
Mille tra professori e presidi verranno scelti per seguire corsi in qualche università straniera che eccelle in materia di digitalizzazione nell'estate 2016.

Duemila saranno invece quelli che avranno un ruolo di guru tecnologico, in qualità di Responsabili Digitali, coloro che avranno il compito di attivare  le politiche innovative del piano coinvolgendo colleghi, studenti e famiglie, coordinandosi con le reti e le eccellenze, per una messa a sistema delle buone pratiche già esistenti.

Questo piano si pone l'ambizioso obiettivo di adeguare entro il 2020 la Scuola a una società profondamente mutata dallo sviluppo delle nuove tecnologie e di adeguarla ai tempi odierni, per poter corrispondere alle esigenze attuali del mondo del lavoro a cui si preparano i ragazzi.
Su L'Unità ne parla la deputata Anna Ascani che sul tema Scuola e digitale si è spesa: http://www.unita.tv/opinioni/cosi-la-scuola-diventa-digitale-e-sapra-parlare-meglio-ai-ragazzi/

giovedì 15 ottobre 2015

Alcune riflessioni sul fine vita dopo la legalizzazione dell'Eutanasia in California


Anche la California ha approvato una legge sul suicidio assistito.
Lo scorso 5 ottobre il cattolico governatore della California, Jerry Brown, ha firmato il provvedimento con cui viene legalizzata l’eutanasia anche nello stato americano da lui governato. Il provvedimento entrerà in vigore a partire dal prossimo 1 gennaio 2016.
Il governatore cattolico Jerry Brown ha deciso di firmare la legge nonostante l’opposizione della chiesa cattolica a tale pratica.
Ha affermato che «Un’opzione che può essere un conforto è un diritto». Brown da giovane aveva studiato in un seminario gesuita, spiegando di aver a lungo ponderato questa difficile decisione alla luce delle sue convinzioni religiose, ha ritenuto di dover firmare la legge:
«Alla fine ho cercato di pensare cosa avrei voluto in caso di una mia malattia terminale - ha dichiarato il democratico  - Non so cosa io farei se mi trovassi a morire tra dolori prolungati e strazianti. Sono certo, comunque, che mi sarebbe di conforto poter valutare l’opzione offerta da questa legge. E quindi non vorrei negare agli altri questo diritto».

Una volta entrata effettivamente in vigore, la legge permetterà ai medici di prescrivere ai malati terminali adulti ed in pieno possesso delle loro facoltà mentali dosi di farmaci per provocare una "morte dolce".

La legge è stata redatta sul modello di quella entrata in vigore nel 1997 in Oregon, il primo dei cinque Stati americani che hanno legalizzato il suicidio assistito, dove lo scorso anno 105 malati terminali si sono suicidati usando i farmaci prescritti dai loro medici. Lo stesso Stato dove si era rifugiata anche Brittany Maynard, la ragazza di 29 anni che chiedeva alla California di poter di morire con dignità. Era, secondo le statistiche, il malato terminale numero 1174 ad avere ottenuto l’autorizzazione al suicidio assistito. E il malato numero 753 a essere andato fino in fondo.

La firma di Brown mette fine a un appassionato dibattito che si è acceso in California intorno all’ "End of Life Option Act". «Questo è un giorno triste per la California» è stata la dichiarazione di Tim Rosales, portavoce dell’associazione Californians Against Assisted Suicide, che ha visto la partecipazione di medici, gruppi per la difesa dei disabili e gruppi cattolici mobilitati contro la legge. Riferendosi al fatto che Brown ha giustificato la sua decisione pensando ad una sua ipotetica esperienza personale, Rosales ha ricordato che «l’ambiente da cui proviene il governatore è molto diverso da quello di milioni di californiani che vivono in povertà, senza lo stesso accesso alle cure mediche: queste persone e i loro familiari potrebbero rischiare se ai medici venisse dato il potere di prescrivere loro dosi letali di medicinali».

Con la California salgono a cinque gli Stati USA in cui è possibile praticare il suicidio assistito. Gli altri Stati sono: Washington, Oregon, Vermont e Montana.
La decisione della California di votare favorevolmente per l’introduzione del suicidio assistito (termine con cui si intende l’aiuto medico ed amministrativo portato ad un soggetto che ha deciso di morire tramite suicidio) è stata probabilmente raggiunta anche grazie al sostegno profuso per la causa da Brittany Maynard che, per porre fine alle proprie sofferenze, fu costretta a trasferirsi dalla California all’Oregon alla fine dello scorso anno. 
La ragazza, prima di portare a termine la propria scelta, lanciò un appello al mondo, sostenendo che il suo non era un suicidio volontario, ma solo una scelta consapevole per evitare ulteriori sofferenze determinate dall’avanzare del cancro che la stava lentamente uccidendo.


Dichiarazioni del genere avrebbero dovuto far riflettere, anche ben oltre i confini dello stato di provenienza di Brittany.
Il Vaticano non tardò a condannare il gesto della giovane, definendolo “indegno”.

In Italia molti ricorderanno la vicenda di Piergiorgio Welby, militante del Partito Radicale e vice presidente dell’Associazione Luca Coscioni.
Il c.d. caso Welby balzò alle cronache negli ultimi anni della sua vita quando, gravemente malato, chiese che venisse “staccata la spina”, ovvero l’interruzione delle terapie che continuavano a tenerlo in vita.
L’esperienza di Welby è lucidamente raccontata nell’autobiografia “Lasciatemi morire”. Quando alla fine del 2006 Welby riuscì finalmente ad ottenere "la dolce morte", dopo una difficile battaglia legale, il Vaticano gli negò il funerale cattolico, esprimendo una chiara condanna verso la scelta che era stata compiuta.


Il tema del fine vita è una questione oltremodo delicata che tocca le nostre coscienze.
A sommesso avviso di chi scrive, ciò che deve sempre essere al centro di qualsiasi legge che venga ad essere proposta e approvata sul tema, deve essere il benessere del paziente.

Credo che sia questo il minimo comune denominatore nella redazione di una legge sul fine vita.
Perché anche di questo tema si deve parlare. 
Non possiamo negare il fatto che di questi tempi malattie invalidanti, incurabili ed estremamente dolorose come il cancro, siano diventati un'ombra nefasta nella vita di molte famiglie. 
La convinzione che la vita sia un diritto indisponibile, che sia o meno derivante da motivi religiosi, non può non tenere conto del benessere psicofisico del malato.

Ciò che spesso si tace, tuttavia, è che l'eutanasia corre il rischio di risultare una via di facile risparmio economico per gli Stati che sono erogatori delle cure sanitarie.

L'Eutanasia in Europa
Purtroppo le terapie che leniscono il dolore più efficaci e che renderebbero l'accompagnamento del paziente verso la fine dell'esistenza non doloroso, le c.d. cure palliative  hanno costi elevati che gli Stati dovrebbero accollarsi, e che se lasciati sulle spalle delle famiglie rischierebbero di sfociare nella soluzione di convincere il malato a chiedere l'eutanasia.


Ritengo sia giusto avere una legge sul testamento biologico, contro l'accanimento terapeutico, da un lato, ma che all'altro si possano e si debbano incentivare molto di più le terapie del dolore, che permettano di togliere uno dei principali motivi per cui il malato chiede l'eutanasia: la sofferenza e il dolore fisico.

giovedì 1 ottobre 2015

Free the Nipple: liberiamo il capezzolo!

Secondo l’American Psychiatric Associationil bambino americano medio prima di arrivare ai 18 anni vede più di 200.000 atti di violenza e 16.000 omicidi in TV. Ma sapete qual’è  l’immagine considerata troppo scandalosa e “dannosa” per i loro occhi? I capezzoli delle donne.
Negli Stati Uniti è illegale per le donne apparire in topless in tre stati e, secondo il Time, leggi ambigue lo proibiscono di fatto negli altri stati. 

Dal 2012 l’attivista e filmmaker Lina Esco sta conducendo una guerra contro questo doppio standard sessista secondo il quale sarebbe scandaloso unicamente il capezzolo femminile. Tre anni fa Lina ha infatti lanciato un movimento contro le politiche di nudità pubblico-sessiste chiamato “Free the Nipple, tradotto alla lettera “liberiamo il capezzolo“, e lo ha fatto mentre lavorava su un film con lo stesso nome e oggetto.

Allison Rapson, Casey LaBow, Lina Esco, e Kassidy Brown
Allison Rapson, Casey LaBow, Lina Esco, e Kassidy Brown 

Come la Esco ha dichiarato in un articolo nel 2013 apparso sull’Huffington Post, “siamo in un caso in cui è la vita che imita l’arte – o più precisamente, mi piace pensare, è attraverso l’arte che si catalizza l’azione civica civile, le donne in topless, gruppi di attivisti e artisti di graffiti hanno iniziato ad agire a New York City, a condurre una guerra culturale per la nostra libertà”.
free-the-nipple_ the daily beast
Free the Nipple, il film

Che cosa hanno ottenuto finora Lina Esco e gli aderenti a questo movimento? I capezzoli erano un tabù per i social media: nel 2014, Facebook ha  revocato il divieto sulle immagini dell’allattamento al seno, ma non è riuscito ad estendere la stessa politica al fine di consentire le immagini dei capezzoli delle donne in altri contesti.

“Quando ho iniziato la mia campagna online, Facebook e Instagram avevano vietato le foto di donne in topless più velocemente di quanto noi potremmo pubblicarle”, ha scritto Lina Esco nel 2013. 

“Perché si possono mostrare decapitazioni pubbliche in Arabia Saudita su Facebook, ma non un capezzolo? Perché si possono vendere pistole su Instagram, ma tuttavia viene sospeso il tuo account per aver pubblicato la parte più naturale del corpo di una donna?”

La scrittrice femminista e attivista Soraya Chemaly ha guidato una campagna che ha portato i partecipanti ad inviare oltre 60.000 tweet e 5.000 messaggi di posta elettronica per opporsi a questa iniquità di trattamento delle immagini sui social.  
“Il problema non sono i seni delle donne”, dichiara la Chemaly a Mic“è l’oggettivazione sessuale ad esserlo. C’è una differenza sostanziale tra la sessualizzazione e la sessualità. I seni non fanno male ai bambini, i seni li nutrono ed è la sessualizzazione del corpo delle donne che in realtà li danneggia di più”.
micol-hebronInstagram ha cercato di seguire l’esempio di Facebook, ma gli attivisti si sono adoperati anche su questo fronte: infatti, nel 2014, l’artista Micol Hebron ha creato un rendering di un capezzolo maschile, incoraggiando le donne a usarlo su Instagram per coprire i propri capezzoli, per richiamare l’attenzione su quanto sia ridicolo questo standard, con uno sforzo che ha guadagnato un rinnovato slancio nei mesi scorsi. 
Sono molte le celebrità che hanno abbracciato la causa e pubblicizzato lo slogan, soprattutto attraverso i social.
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Miley Cyrus è stata una delle prime celebrità a sponsorizzare la causa. Nel 2013, ha caricato su Twitter una sua foto contenente l’immagine di un capezzolo appoggiato sul proprio occhio e contrassegnata dallo slogan “Free the nipple”. Miley ha continuato a sostenere la campagna anche in maniera provocatoria, tramite la pubblicazione di foto in topless su Instagram (prontamente rimosse, ovviamente).
Intervistata da Jimmy Kimmel poco prima del debutto come conduttrice degli MTV Video Music Awards, si è presentata in studio con le areole coperte da due cuoricini tempestati di lapislazzuli. “Cosa pensa tuo padre quando accende la tv e ti vede così?” le ha chiesto Kimmel. “Beh, mio padre è un figo, preferisce che io sia una brava persona con le tette di fuori, piuttosto che una stronza con la maglietta. Se hai le tette di fuori non puoi essere stronzo” ha risposto Miley Cyrus. 

Anche Scout e Rumer Willis, figlie di Bruce Willis e Demi Moore hanno sostenuto questa campagna. Nel 2014, Scout Willis veniva immortalata mentre camminava per le strade di New York City in topless dopo che Instagram aveva rimosso una delle sue foto dal profilo.
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Tutti dicono che la politica deve essere uguale per tutti“, ha detto nel 2014. “A quanto pare, però, è OK per le donne di essere degradate e ipersessualizzate, ma non è bene per loro essere orgogliose dei loro corpi“. Rumer Willis ha sostenuto la sorella con una raccolta fondi subito dopo. “Sono molto orgogliosa di lei, si sta battendo per quello in cui crede”, ha detto a US Weekly, indossando una T-shirt a tema con l’immagine di seni nudi. 
Anche altre celebrità, tra cui Cara Delevingne, Chelsea Handler e Chrissy Teigen, hanno aderito alla causa esponendo i propri capezzoli sui social media. Non solo. Persino la deputata islandese Björt Ólafsdóttir si è schierata a favore della campagna. 

Recentemente anche l’ex modella Naomi Campbell ha postato su instagram una sua immagine in versione total nude con le areole scoperte, usando l’hastag #FreeTheNipple e aderendo a sua volta al movimento.

Cara Delevingne, #FreetheNipple
Cara Delevingne, #FreetheNipple 
Non ci sono solo donne tra gli attivisti che hanno aderito all’iniziativa #freethenipple
L’attore femminista Matt McGorry (Orange is the new black, How to get away with murder) ha aderito con entusiasmo al movimento: “#FreeTheNipple riguarda il diritto delle donne di rivendicare ciò che i loro seni e capezzoli significano per loro, e non da come gli uomini e gran parte della società decidono ciò che significano le loro areole” ha scritto McGorry su Instagram.

Negli Stati Uniti sono tante le persone che stanno protestando: ad aprile, un gruppo di manifestanti ha manifestato per Venice Beach a Los Angeles per permettere alle donne di prendere il sole in topless. Il 23 maggio, più di 100 studenti si sono riuniti presso l’Università della California, San Diego, a sostegno di #freethenipple. Ad inizio agosto, 70 persone hanno protestato a Springfield, nel Missouri, in nome della causa. Non solo: i sostenitori di “Free the Nipple” si sono seduti in topless su Hampton Beach nel New Hampshire. 
Alcune sostenitrici indossano unTaTa tops“: si tratta di un “bikini modellato sul corpo femminile che dispone di un capezzolo su ogni coppa” che il suo creatore ha inventato come modo per sostenere il movimento.
free-the-nipple The inside drop 

“L’obiettivo della campagna è l’uguaglianza” afferma Lina Esco. “Questo è quello che dovevamo fare per spianare la strada all’uguaglianza, ossia farne parlare. Non c’è altro modo in cui le ruote starebbero girando a meno che ci fosse una scintilla, qualcosa di controverso. Questo è Free the Nipple

Il movimento è stato senza dubbio capace di coinvolgere le persone attraverso immagini sagaci e ammiccanti, bikini ingannatori, e magliette auto-censurate. Riusciranno i suoi sostenitori ad ottenere la modifica delle policies dei social networks di censura e un fattivo cambiamento culturale?
Solo il tempo potrà dircelo, intanto però la scintilla è stata innescata. Sembra altamente probabile che possa degenerare in una esplosione!

Photo credits
Mic
Globalgrind
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Mic
Decider
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Articolo originariamente pubblicato su Stream! Magazine

lunedì 28 settembre 2015

In ricordo di Pietro Ingrao, l'uomo che voleva la luna


Qualsiasi linguaggio che offenda l'avversario è inaccettabile.
La violenza verbale non mi piace. Quella di ieri e quella di oggi. Non mi sta bene politicamente e nemmeno stilisticamente. 
- Pietro Ingrao 

venerdì 25 settembre 2015

In ricordo di Sandro Pertini, il "Presidente più amato dagli Italiani"


"Battetevi sempre per la Libertà, per la Pace, per la Giustizia Sociale. La Libertà senza Giustizia Sociale non è che una conquista fragile, che si risolve per molti nella libertà di morire di fame. [...] Libertà e Giustizia sociale sono un binomio inscindibile. Lottate quindi con fermezza giovani che mi ascoltate, perchè lottate per il vostro domani, per il vostro avvenire" 
Appello ai giovani di Sandro Pertini 


Alessandro Pertini, detto Sandro (San Giovanni di Stella, 25 settembre 1896 – Roma, 24 febbraio 1990), è stato un politico, giornalista e partigiano italiano
Fu il settimo Presidente della Repubblica Italiana, in carica dal 1978 al 1985, secondo socialista (dopo Giuseppe Saragat) e primo esponente del PSI a ricoprire la carica.

Durante la prima guerra mondiale, Pertini combatté sul fronte dell'Isonzo, e per diversi meriti sul campo gli fu conferita una medaglia d'argento al valor militare nel 1917. Nel dopoguerra aderì al Partito Socialista Italiano e si distinse per la sua energica opposizione al fascismo. 
Perseguitato per il suo impegno politico contro la dittatura di Mussolini, nel 1925 fu condannato a otto mesi di carcere, e quindi costretto a un periodo di esilio in Francia per evitare una seconda condanna. Continuò la sua attività antifascista anche all'estero e per questo, dopo essere rientrato sotto falso nome in Italia nel 1929, fu arrestato e condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato prima alla reclusione e successivamente al confino.

Nel 1943, alla caduta del regime fascista, fu liberato. Partecipò alla battaglia di Porta San Paolo nel tentativo di difendere Roma dall'occupazione tedesca. Contribuì poi a ricostruire il vecchio PSI fondando insieme a Pietro Nenni il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Nello stesso anno fu catturato dalle SS e condannato a morte; riuscì a salvarsi grazie a un intervento dei partigiani delle Brigate Matteotti.

Divenne in seguito una delle personalità di primo piano della Resistenza italiana e fu membro della giunta militare del Comitato di Liberazione Nazionale in rappresentanza del PSIUP. Da partigiano fu attivo soprattutto a Roma, in Toscana, Val d'Aosta e Lombardia, distinguendosi in diverse azioni che gli valsero una medaglia d'oro al valor militare. Nell'aprile 1945 partecipò agli eventi che portarono alla liberazione dal nazifascismo, organizzando l'insurrezione di Milano, e votando il decreto che condannò a morte Mussolini e altri gerarchi fascisti.

Nell'Italia repubblicana fu eletto deputato all'Assemblea Costituente per i socialisti, quindi senatore nella prima legislatura e deputato in quelle successive, sempre rieletto dal 1953 al 1976. Ricoprì per due legislature consecutive, dal 1968 al 1976, la carica di Presidente della Camera dei deputati, infine fu eletto Presidente della Repubblica Italiana l'8 luglio 1978.

Andando spesso oltre il ruolo istituzionale, il suo mandato presidenziale fu caratterizzato da una forte impronta personale che gli valse una notevole popolarità, tanto da essere ricordato come il "presidente più amato dagli italiani".

Come Capo dello Stato ha conferito l'incarico a sei Presidenti del Consiglio: Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Arnaldo Forlani, Giovanni Spadolini, Amintore Fanfani e Bettino Craxi; ha nominato cinque senatori a vita, Leo Valiani nel 1980, Eduardo De Filippo nel 1981, Camilla Ravera nel 1982 (prima donna senatrice a vita), Carlo Bo e Norberto Bobbio nel 1984; ha infine nominato tre Giudici della Corte costituzionale nel 1978 Virgilio Andrioli, nel 1980 Giuseppe Ferrari e nel 1982 Giovanni Conso. In qualità di presidente della Repubblica, conferì inoltre nel 1979, per la prima volta dal 1945, a un esponente laico, il repubblicano Ugo La Malfa, il mandato di formare il nuovo governo, incaricando quindi, con successo, nel 1981, il segretario del PRI Giovanni Spadolini (primo non democristiano ad assumere la guida del governo dal 1945), e nel 1983 il segretario del PSI Bettino Craxi (primo uomo politico socialista a essere nominato presidente del Consiglio nella storia d'Italia).

mercoledì 12 agosto 2015

Ricordiamo l'Eccidio di Sant'Anna di Stazzema


Oggi, ricorre l'anniversario dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema, quando nel paese toscano le SS uccisero 560 persone.

Non possiamo dimenticare che il 12 agosto 1944 a S. Anna di Stazzema nazisti e fascisti compirono una tra le stragi piu' efferate. Fra i massacrati, 130 bambini.
Dimenticarli sarebbe ucciderli ancora.
Ricordiamo i loro nomi nelle nostre coscienze, nel chiedere incessantemente verità e giustizia per tutte le vittime delle stragi nazifasciste.
L'eccidio di Sant'Anna di Stazzema fu un crimine contro l'umanità commesso dai soldati tedeschi della 16. SS-Panzergrenadier-Division "Reichsführer SS", comandata dal generale (Gruppenführer) Max Simon, il 12 agosto 1944 e continuato in altre località fino alla fine del mese.
Il giorno precedente, l'11 agosto 1944, la divisione aveva commesso già l'eccidio della Romagna.

All'inizio dell'agosto 1944 Sant'Anna di Stazzema era stata qualificata dal comando tedesco come "zona bianca”, ossia località adatta ad accogliere sfollati: per questo la popolazione, in quell'estate, aveva superato le mille unità.
I partigiani avevano abbandonato la zona senza aver svolto operazioni militari di particolare entità contro i tedeschi.
Nonostante ciò, all'alba del 12 agosto 1944, tre reparti di SS salirono a Sant'Anna mentre un quarto chiudeva ogni via di fuga a valle sopra il paese di Valdicastello. Alle sette il paese era circondato. Quando le SS giunsero a Sant'Anna, accompagnati da fascisti collaborazionisti che fecero da guide, gli uomini del paese si rifugiarono nei boschi per non essere deportati mentre donne, vecchi e bambini, sicuri che nulla sarebbe capitato loro, in quanto civili inermi, restarono nelle loro case.


In poco più di tre ore vennero massacrati 560 civili, in gran parte bambini, donne e anziani.
I nazisti li rastrellarono, li chiusero nelle stalle o nelle cucine delle case, li uccisero con colpi di mitra, bombe a mano colpi di rivoltella e altre modalità di stampo terroristico.
La vittima più giovane, Anna Pardini, aveva 20 giorni. Gravemente ferita, la rinvenne agonizzante una sorella miracolosamente superstite, tra le braccia della madre ormai morta. Morì pochi giorni dopo nell'ospedale di Valdicastello. Infine, incendi appiccati a più riprese causarono ulteriori danni a cose e persone.


Non fu una rappresaglia (ovvero di un crimine compiuto in risposta a una determinata azione del nemico): come è emerso dalle indagini della procura militare di La Spezia, infatti, si trattò di un atto terroristico premeditato e curato in ogni dettaglio per annientare la popolazione, la loro volontà e tenerla sotto controllo grazie al terrore.

L'obiettivo era quello di distruggere il paese e sterminare la popolazione per rompere ogni collegamento fra le popolazioni civili e le formazioni partigiane presenti nella zona.

La ricostruzione degli avvenimenti, l'attribuzione delle responsabilità e le motivazioni che hanno originato l'Eccidio sono state possibili grazie al processo svoltosi al Tribunale militare di La Spezia che si è concluso nel 2005 con la condanna all'ergastolo per dieci SS colpevoli del massacro; sentenza confermata in Appello nel 2006 e ratificata in Cassazione nel 2007.

Nella prima fase processuale si è svolto, grazie al pubblico ministero Marco De Paolis, un imponente lavoro investigativo, cui sono seguite le testimonianze in aula di superstiti, di periti storici e persino di due SS appartenuti al battaglione che massacrò centinaia di persone a Sant'Anna.

Fondamentale, nel 1994, anche la scoperta avvenuta a Roma, negli scantinati di Palazzo Cesi, di un armadio chiuso e girato con le ante verso il muro, ribattezzato poi “armadio della vergogna”, poiché nascondeva da oltre 40 anni documenti che sarebbero risultati fondamentali ai fini di una ricerca della verità storica e giudiziaria sulle stragi nazifasciste in Italia nel secondo dopoguerra.



Prima dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema, nel giugno dello stesso anno, SS tedesche, affiancate da reparti della X MAS, massacrarono 72 persone a Forno. Il 19 agosto, varcate le Apuane, le SS si spinsero nel comune di Fivizzano (Massa Carrara), seminando la morte fra le popolazioni inermi dei villaggi di Valla, Bardine e Vinca, nella zona di San Terenzo. Nel giro di cinque giorni uccisero oltre 340 persone mitragliate, impiccate, persino bruciate con i lanciafiamme.

Nella prima metà di settembre, con il massacro di 33 civili a Pioppetti di Montemagno, in comune di Camaiore (Lucca), i reparti delle SS portarono avanti la loro opera nella provincia di Massa Carrara. Sul fiume Frigido furono fucilati 108 detenuti del campo di concentramento di Mezzano (Lucca), a Bergiola i nazisti fecero 72 vittime.
Avrebbero poi continuato la strage con il massacro di Marzabotto.

martedì 11 agosto 2015

In ricordo di Robin Williams


"I always thought that the worst thing in life was to be alone. I't's not so. The worst thing is to be with people who make you feel alone"
- Robin Williams -

L'11 agosto 2014Robin Williams ha spento il suo sorriso, ci ha lasciato un grande attore che ha saputo farci emozionare, farci ridere, farci piangere con le sue interpretazioni. 

Tanti personaggi diversi e una grande capacità di entrare nella parte, di improvvisare.

Grazie Robin.

giovedì 6 agosto 2015

Orgoglio Curvy? Non per Instagram, che poi ci ripensa


La notizia dell’abolizione dell’hashtag “curvy” da parte di Instagram aveva fatto molto scalpore:  l’app aveva bloccato la parola nei risultati di ricerca, per evitare che venisse usata per condividere foto di nudo non consentite dal regolamento.

Le nuove regole del social network avevano delineato un approccio molto più restrittivo rispetto al passato, anche se poi qualche contraddizione c’è sempre. Per esempio, si potevano ancora cercare, al momento,“#curvygirl” e “#curvywomen”.


Una portavoce ha spiegato: “Confermo che abbiamo bloccato l’hashtag #curvy. Era usato per condividere contenuti che violano le nostri linee guida sulla nudità. Va sottolineato che il blocco non ha niente a che vedere con il termine ‘curvy’ in se stesso“.

La censura dell’hashtag è poi stata rimossa dopo la reazione degli utenti del noto social, attraverso la creazione dell’hashtag #stillcurvy   e la mobilitazione di numerose influencers IG,  impegnate da tempo nella divulgazione della accezione positiva del termine “curvy” per identificare una comunicazione body positive attraverso l’utilizzo proprio di Instagram. In ogni caso la presa di posizione della nota app, ha aperto un grosso dibattito in rete a proposito di ciò che è lecito postare all’interno dei social network.

“Curvy” è l’aggettivo inglese che indica una donna dalle forme prosperose, e il relativo hashtag dovrebbe avere la funzione di disseminare e trovare più facilmente contenuti collegati a questo tema.
Altri hashtag come #anorexic, #anorexilove, #straightwomen che corrono lo stesso rischio non sono stati bannati.
La decisione ha creato un vero e proprio movimento d’opinione e sollevato polemiche visto che questo termine viene ormai utilizzato per indicare corpi formosi in un’accezione positiva, in lotta con le discriminazioni fisiche.


Il punto non è che #curvy è meglio di #skinny nella società o nel settore della moda.
Perché si lotta per l’inclusione e l’accettazione di tutte le forme e dimensioni, perché si può essere belle sempre fino a quando si è in forma e sani.



Perché dovrebbe essere accettabile vedere una modella magrissima in una foto piuttosto che una donna curvy?
Il tema è capire se i social networks possano decidere al posto nostro e operare nella direzione opposta del principio su cui sono nati e si sono evoluti: dare a ognuno la possibilità di incontrarsi e discutere su tutto, nel regno in perenne costruzione della libertà d’espressione.
Tornando al caso “curvy”, anche i contenuti sotto l’hashtag  #Thin possono condurre a nudità di altra natura, a immagini di donne magre, esili, sottili, perfino anoressiche.

Il problema è appunto chi decide cosa deve essere bannato?

Innanzitutto occorre ci sia una segnalazione che viene raccolta da uno gruppo di esperti che lavorano al servizio di queste piattaforme; esistono tabelle, corredate di istruzioni a cui gli esperti devono attenersi, che consentono loro di prendere immediati provvedimenti  di fronte a violazioni evidenti della policy dell’azienda e del sito per cui lavorano: immagini scioccanti come corpi nudi, sangue, pedopornografia, testi altamente equivoci, insulti.


Tuttavia le cose non sono sempre così lineari.
Ricorderete il caso della richiesta di neomamme e dei loro supporter di non cancellare i post in cui si vedono neonati allattati al seno. Facebook non lo permetteva.
Altre volte, invece la decisione è semplice: ad esempio nel caso della rimozione delle teste mozzate dall’Isis all’interno dei post di Twitter.

La questione del controllo dei contenuti sensibili sui social media è un nodo che dovrà trovare soluzione, attraverso un equilibrio tra libertà d’opinione e rispetto della pubblica decenza e divieto di atti osceni, potendo considerare le piattaforme dei social come “luogo pubblico” essendo accessibile a qualunque utente tramite iscrizione.

 Photo credits:
Manik Mag, Lucio Giordano, Daily Mail, The Fashion Loser

Articolo originariamente pubblicato su Stream! Magazine