Chi non conosce la storia di Piccole Donne?
Greta Gerwig è riuscita a creare un piccolo capolavoro, realizzando un nuovo adattamento cinematografico del più noto libro di Louisa May Alcott. Un'impresa non facile se pensiamo a quanti ne sono già stati realizzati: il primo nel 1940, l'ultimo nel 1994.
Ma perchè è indimenticabile? Racconta una piccola storia familiare, con le difficoltà, i sogni e le speranze di quattro sorelle. La regista ha detto come quel libro abbia fatto parte della sua vita da sempre, cosa che accomuna anche molte di noi.
La filosofa Luisa Muraro scrive che Piccole donne è, innanzitutto, «un capolavoro di astuzia femminile» che per «centocinquant’anni è riuscito a farsi stampare, tradurre e raccomandare come un romanzo di formazione per giovinette di buona famiglia» e che «intanto riesce ad annunciare la fine del patriarcato». Si tratta della storia di quattro sorelle che crescono sotto la guida di una madre e in assenza del padre. Il padre è andato volontario in guerra, quella terribile e sanguinosa guerra di Secessione che ebbe luogo negli Stati Uniti intorno al 1860. Louisa May Alcott dice bene: "Gli uomini si stanno autoeliminando a forza di guerre. Resta vivo il simbolico delle donne".
Le figure maschili rimangono sullo sfondo e si affacciano su un mondo di sole donne: non hanno il potere di turbare il loro centro focale.
Le quattro sorelle ritraggono temperamenti molto diversi tra loro e la trama della storia si sviluppa proprio intorno al gioco tra queste differenze e non dipende, come molti pensano, solo dalla figura di Jo.
Azzeccata è la scelta dei personaggi tra cui spicca Saoirse Ronan, che nei panni di Jo è straordinaria, ci fa emozionare di nuovo come la
prima volta leggendo il libro da bambine: la secondogenita anticonformista,
aspirante scrittrice che vuole essere indipendente, fare la sua strada
nel mondo, sempre legata alla famiglia, suo punto di riferimento, in
particolare alla madre e alla sorella Beth.
Jo sfrutta i suoi talenti letterari per provvedere
alla sua famiglia: la scrittura è per lei una passione, ma anche una
necessità finanziaria. Ogni sorella, a modo suo, seppur incastrata
nella sfera domestica, ha aspirazioni e sogni di realizzazione di sé,
che si scontrano di continuo con le poche opzioni riservate alle donne. Meg sogna un proprio focolare domestico, Jo di essere una scrittrice affermata, Beth vorrebbe essere una brava musicista, Amy una famosa pittrice.
Il matrimonio, di cui parla costantemente zia March, interpretata da una grande Meryl Streep che dà spessore e un certo sense of humour al suo personaggio nonostante il leit motiv «married or dead», specificando però che l’unica ragione per cui lei non è sposata
è che è ricca, rappresenta una minaccia più che una promessa.
Che
cos’è il matrimonio in realtà, lo spiega bene Amy a Laurie: un semplice accordo
finanziario, all’interno del quale i figli e il denaro che
una donna guadagna diventano proprietà del marito.
In uno dei passaggi più dolorosi del film, Jo si chiede se abbia fatto bene a rifiutare le proposte di Laurie.
Diciamocelo chiaramente come funziona: il proprio desiderio di autonomia ha un costo (e anche la madre, a un certo punto, ricorda a Jo che è «arrabbiata quasi ogni giorno della sua vita»).
In uno dei passaggi più dolorosi del film, Jo si chiede se abbia fatto bene a rifiutare le proposte di Laurie.
«Le donne hanno una mente e un’anima, e non soltanto un cuore. Sono ambiziose e di talento, non sono solo belle. Sono così stanca di sentire che l’amore e la famiglia sono le uniche cose per cui è fatta una donna».La citazione è tratta da un altro libro di Louisa May Alcott, Rose in Bloom.
Diciamocelo chiaramente come funziona: il proprio desiderio di autonomia ha un costo (e anche la madre, a un certo punto, ricorda a Jo che è «arrabbiata quasi ogni giorno della sua vita»).
A poco a poco Greta Gerwig mescola
il destino di Jo con quello dell’autrice, Louisa May Alcott, che non ha
mai avuto figli, che non si è mai sposata e che ha avuto una vita
davvero eccezionale, come attivista femminista e antischiavista, oltre che come
scrittrice.
Ed è come se si raccontasse l'altra vita di Louisa, quella che avrebbe avuto se avesse scelto di sposarsi e crearsi un proprio nucleo familiare.
Ed è come se si raccontasse l'altra vita di Louisa, quella che avrebbe avuto se avesse scelto di sposarsi e crearsi un proprio nucleo familiare.
Nel film il prof. Bauer è diverso da come si presenta nel libro. Su questo punto la trasposizione del 1994 era certo più aderente e ci presentava un uomo colto, ma molto più grande di Jo. Leggendo la storia chi non avrebbe voluto che fosse il matrimonio con Laurie, il giovane vicino di casa, musicista e ricco a segnare il finale della storia?
Mentre la scelta dell'anticonformista Jo ricade su un uomo più vecchio, un professore tedesco di senza patrimonio ma di profonda cultura.
Mentre la scelta dell'anticonformista Jo ricade su un uomo più vecchio, un professore tedesco di senza patrimonio ma di profonda cultura.
Da una parte Jo accontenta l'editore e la storia la vede sposata e sistemata; dall'altra è come se Jo non volesse nel proprio libro confermare che il destino delle donne sia unicamente legato al matrimonio, anche se alla fine lei ha trovato la sua dimensione come istitutrice, moglie e madre.
Come a dirci che anche se è difficile trovare la propria strada non è necessario scegliere una sola etichetta per realizzarsi.
Come a dirci che anche se è difficile trovare la propria strada non è necessario scegliere una sola etichetta per realizzarsi.
Questo è un messaggio profondamente moderno da passare alle nostre giovani donne. Perchè per quanto siano passate diverse generazioni dai tempi di Little Women, è ancora difficile per le donne farsi strada, coltivare le proprie aspirazioni, conciliandole con la vita familiare.
A maggior ragione questo accade in un Paese come il nostro, dove la donna se lavora (più del 50% non lo fa: spesso perchè non rientra nel mercato del lavoro dopo la maternità) è per stretta necessità, e se nel settore pubblico le differenze salariali non sono così spiccate, così non accade nel settore privato, in cui la lavoratrice guadagna mediamente il 20% in meno di un uomo per identiche mansioni e a cui spesso spetta portare il peso del menage familiare, in una situazione in cui l'offerta di servizi per l'infanzia è insufficiente a coprire la richiesta e in cui le cui rette gravano pesantemente sul bilancio medio di una famiglia, tale da rendere talvolta economicamente più sostenibile la scelta di rimanere a casa ad occuparsi dei figli. Naturalmente questo vale più per certe categorie, che per altre: nelle classi più elevate, il problema non si pone più di tanto, ma quando si valuta la percentuale di donne con figli occupate delle classi meno abbienti, i dati ci dicono che siamo ancora lontani dalle pari opportunità.
Il refrain che l'Italia non sia un Paese per giovani, in realtà è parziale: non è nemmeno tanto un Paese per donne che non intendono rinunciare alla propria carriera per costruire una famiglia.

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