Tutte le donne di Prassagora

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Pride and Prejudice, Jane Austen

venerdì 10 luglio 2015

Addio al Dottor Zivago alias Omar Sharif



Addio a Omar Sharif : un attacco di cuore lo ha stroncato a 83 anni, in un ospedale del Cairo, dopo l'ultima battaglia contro l'Alzheimer.

Il suo vero nome era Michel Dimitri Shalhoub, figlio di genitori libanesi, era nato ad Alessandria d'Egitto. Diplomato al Victoria College, laureato in matematica e fisica al Cairo, scopre il cinema nel 1953 quando viene notato da un giovane regista, Youssef Chahine, che lo sceglie a fianco di una diva dell'epoca, Faten Hamama per il suo "Lotta sul fiume". Il successo personale prelude a un doppio grande amore: quello per Faten che lo sposerà due anni dopo e quello per il cinema.

In otto anni interpreta oltre venti film, tra cui "La castellana del Libano" e "I giorni dell'amore" che arrivano anche sui nostri schermi; per ottenere il consenso dei genitori della sposa si converte all'Islam e sceglie il nome che lo accompagnerà per la vita, Omar El Sharif.

Con questo nome si presenta a David Lean che sta scegliendo il cast per "Lawrence d'Arabia" nel 1961: parla l'inglese e il francese senza imbarazzo, si comporta come un occidentale, ma ha negli occhi il furore del Mediterraneo.



Lean gli affida il ruolo dello Sceriffo Alì, tra Peter O'Toole, Anthony Quinn e una schiera di "tombeurs des femmes" del cinema anglosassone. Sharif non ha grande considerazione del suo partner: diceva che "O'Toole è la cosa più simile a una bistecca che abbia mai incontrato". Il suo ruolo sarebbe da comprimario, ma Omar Sharif lo plasma fino a farne l'autentico eroe senza macchia dell'intera epopea.

La nomination all'Oscar del '63 è la naturale conseguenza e gli apre le porte di Hollywood. Ciononostante le scelte successive dell'attore sono, a dir poco estemporanee.

Arriva in Italia con il suo fascino esotico per 'polpettoni' come 'La caduta dell'impero romano', un 'Marco Polo' e un 'Gengis Khan', transita per Hollywood con film non memorabili "Una Rolls Royce gialla", si salva per merito del suo pigmalione. Lean lo traveste da russo per l'adattamento del "Dottor Zivago" (1965).



Il successo è planetario, accompagnato da un Golden Globe che sorprendentemente non va di pari passo con la candidatura all'Oscar. Omar Sharif sceglie il piacere della vita: torna in Europa per "C'era una volta" di Francesco Rosi, veste i panni di un ufficiale tedesco per "La notte dei generali" di Anatole Litvak (ancora in coppia con O'Toole, ma stavolta l'eroe è Sharif), canta con Barbra Streisand in "Funny Girl" e si innamora istantaneamente della diva americana.

Poi si cala nei panni dell'Arciduca asburgico per "La tragedia di Mayerling", veste i panni del "Che", dilapida i guadagni e la fama finendo nel calderone dei western all'italiana "L'oro dei McKenna", va in Francia con "Diritto d'amare", ritrova Barbra Streisand in "Funny Lady" (1975).

Sono passati poco più di dieci anni dal primo successo internazionale e Omar Sharif ha già visto l'ampio panorama del cinema mondiale. Nel frattempo ha imparato l'italiano, parla il greco e il turco, ha pubblicato il suo primo manuale di bridge ed è entrato nella lista dei "top players" del gioco.

"Finisci a fare una vita - racconta nella sua autobiografia - in totale solitudine: alberghi, valigie, cene senza nessuno che ti metta in discussione. L'attrazione del tavolo verde per me diventò irresistibile. E ci ho sperperato delle fortune. A un certo momento ho capito e ho deciso di smettere anche con il bridge per non sentirmi prigioniero delle mie passioni". "Facevo film per pagare debiti - ricorda ancora - e alla fine mi sono stufato".

Dovrà aspettare l'incontro con il francese Francois Dupeyron, per ritrovarsi.

Con il film "Monsieur Ibrahim e i fiori del corano" emoziona il pubblico e la giuria alla Mostra di Venezia; nel 2003 Omar Sharif riceve il Leone d'oro alla carriera e ritrova anche le sue origini mediorientali con l'interpretazione dell'anziano commerciante che scopre la sua vocazione paterna incontrando il giovane ebreo Momo Schmidt.

Riconquistato pubblico e critica, adesso sembra un uomo placato nonostante perduri la leggenda delle sue furibonde collere, delle sue spettacolari bevute, della sua proverbiale galanteria.

Ha frequentato nuovamente il piccolo schermo con "San Pietro" per la Lux Vide, ha dato la sua voce profonda al Leone salvifico delle "Cronache di Narnia", ha fatto da spalla a Viggo Mortensen in "Hidalgo", e ad Antonio Banderas ne "Il tredicesimo guerriero", è tornato a recitare in Egitto e in Francia.

Tra le sue ultime apparizioni, si annovera un cameo muto nei panni di se stesso nel film di Valeria Bruni Tedeschi nel film "Un castello in Italia" (2013).

Se ne va un grande attore che ha saputo vivere almeno tre vite diverse: da star, da giocatore di bridge, da seduttore e artista della vita. Tuttavia il suo viso è ormai scolpito nel tempo, fissato in quell'ironico sorriso che lo ha reso celebre, con una carriera costellata da oltre cento film, tra passioni, debiti, curiosità e voglia di una vita che ha sempre sbranato con voracità lucida.

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