Tutte le donne di Prassagora

Tutte le donne di Prassagora
Pride and Prejudice, Jane Austen

mercoledì 29 luglio 2015

29 luglio 1976 - Tina Anselmi prima donna Ministro in Italia

"Capii allora che per cambiare il mondo bisognava esserci" - Tina Anselmi

Il 29 luglio 1976, con la nomina a Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale nel terzo governo di Giulio Andreotti, la democristiana veneta, Tina Anselmi, diventa la prima donna italiana a ricoprire un ruolo di Ministro nella storia della Repubblica.

Biografia:
Nata a Castelfranco Veneto (TV) il 25 marzo 1927, dopo aver fatto parte della Resistenza durante la guerra, si iscrive alla Democrazia Cristiana, insegna in una scuola elementare e  intraprende una carriera nel sindacato. Nel 1968 entra in Parlamento, dove resterà fino al 1992. Dopo la storica nomina a Ministro nel 1976, dal 1978 al 1979 fu anche Ministro della Sanità in due governi Andreotti.
Fu promotrice di una legge sulle pari opportunità e diede vita al Servizio Sanitario Nazionale.
Dal 1981 al 1985 fu Presidente della Commissione Parlamentare d'inchiesta sulla Loggia Massonica P2.

Per un approfondimento biografico vi segnalo un articolo della mia rubrica "Le donne di Prassagora" scritto in occasione del compleanno di Tina Anselmihttp://corriereillume.it/le-donne-di-prassagora/tina-anselmi-primo-ministro-donna-ditalia-1406/

La nostra storia ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati, attraverso la responsabilità di tutto un popolo.Dovremmo riflettere sul fatto che la democrazia non è solo libere elezioni, non è solo progresso economico. E' giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. E' tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. E' pace”- tratto da "Storia di una passione politica", T. Anselmi


Il tema delle donne in politica è un tasto delicato.
Nonostante gli sforzi, occorre rendersi conto che ad oggi sono 80 i paesi del mondo, circa il 40%, che sono stati governati almeno un giorno da una donna, mentre restano poche le donne al comando.

L'Italia, nonostante l'impresa della Anselmi, è tra i paesi che non hanno mai avuto un Primo Ministro o un Presidente a capo del governo o dello Stato.

Quanta strada c'è ancora da fare per la parità di genere..!
A esempio battersi per il riconoscimento della parità di trattamento economico lavorativo e per l'ampliamento del numero di donne ai vertici sia istituzionali che nei CdA.

Perché se i dati delle statistiche ci dicono che le donne hanno mediamente punteggi migliori nei test e all'Università, ancora abbiamo bisogno del ricorso alle quote rosa, purtroppo.
Ideologicamente sarei contraria, ma per sconfiggere il maschilismo che ancora permea la nostra cultura, possono forse essere un mezzo per accelerare il percorso verso la parità di genere.

Inoltre è fondamentale avere esempi di donne che sono riuscite a farsi strada in ambienti prettamente maschili: penso ad esempio a Samantha Cristoforetti che potrà essere un punto di riferimento per le bambine di oggi e di domani che vorranno diventare astronauta. Penso a Elena Cattaneo, neurobiologa eletta senatrice a vita o a Marta Cartabia, Giudice della Corte Costituzionale e a tante altre donne che potranno ispirarci per raggiungere i nostri obiettivi.

E' grazie alle donne come Tina Anselmi, che hanno aperto e apriranno strade inesplorate prima, che altre potranno, seguendo i loro passi, ripercorrerle per realizzare i loro sogni.



Ricordando Rocco Chinnici e la strage di via Pipitone

Rocco Chinnici


 Oggi in occasione del 32esimo anniversario della strage di via Pipitone, in cui un'autobomba uccise il magistrato antimafia Rocco Chinnici, due carabinieri e il portiere dello stabile ricordiamo che fu la prima strage, quella che inaugurò la fase stragista mafiosa. 


Stamattina a Palermo si è svolta una breve commemorazione: sotto la lapide sono state deposte quattro corone (Regione, Ars, Comune e Carabinieri), il picchetto dell'Arma dei carabinieri, cittadini, autorità e anche i bambini del "Centro Padre Nostro" di Brancaccio hanno partecipato alla commemorazione. 

Presenti, tra gli altri, i figli di Rocco Chinnici, Caterina, eurodeputata del Pd, e Giovanni, assieme alla vedova dell'appuntato Trapassi, mentre tra le autorità il questore Guido Longo, il comandante provinciale dei carabinieri, Giuseppe De Riggi, il generale Riccardo Amato, comandante interregionale "Culqualber", il presidente dell'Ars Giovanni Ardizzone, il presidente del Tribunale Salvatore Di Vitale, l'avvocato generale Ignazio De Francisci, il presidente della Corte d'appello Gioacchino Natoli e il procuratore generale Roberto Scarpinato, l'ex componente del pool antimafia Giuseppe Di Lello. Era presente anche l'unico sopravvissuto di quella strage, Giovanni Paparcuri, autista di Rocco Chinnici.
Secondo Caterina Chinnici "esiste solo un'antimafia che è quella dell'impegno quotidiano che ognuno di noi deve mettere per ricordare e trasmettere i valori della legalità".  


Rocco Chinnici, nacque a Misilmeri, 19 gennaio 1925, magistrato, fu una delle vittime di Cosa Nostra. 
È stato l'ideatore dell'istituzione del "pool antimafia", che diede una svolta decisiva nella lotta alla mafia.
Quando nel 1980, cosa nostra uccise il capitano dell'Arma dei Carabinieri Emanuele Basile (4 maggio) e il procuratore Gaetano Costa (6 agosto), amico di Chinnici, con cui aveva condiviso indagini sulla mafia, i cui esiti i due giudici si scambiavano in tutta riservatezza dentro un ascensore di servizio del palazzo di Giustizia, Chinnici ebbe l'idea di istituire una struttura collaborativa fra i magistrati dell'Ufficio (poi nota come "pool antimafia"), conscio che l'isolamento dei servitori dello stato li espone all'annientamento e che, in particolare per i giudici ed i poliziotti, li rende vulnerabili poiché uccidendo chi indaga da solo, si seppellisce con lui anche il portato delle sue indagini.

Entrarono a far parte della sua "squadra" alcuni giovani magistrati fra i quali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Con quest'ultimo, per pura coincidenza, condivideva il giorno di nascita, il 19 gennaio. 
Altro avrebbe legato le tre figure qualche anno dopo. «Un mio orgoglio particolare» - disse Chinnici in una intervista - «è una dichiarazione degli americani secondo cui l'Ufficio Istruzione di Palermo è un centro pilota della lotta antimafia, un esempio per le altre magistrature d'Italia. I magistrati dell'Ufficio Istruzione sono un gruppo compatto, attivo e battagliero». 

Il primo grande processo a cosa nostra, il cosiddetto maxi processo di Palermo, è il risultato del lavoro istruttorio svolto da Chinnici.

Chinnici partecipò, in qualità di relatore a molti congressi e convegni giuridici e socio-culturali, e credeva nel coinvolgimento dei giovani nella lotta contro la mafia, recandosi nelle scuole per parlare agli studenti della mafia e del pericolo della droga
In una nota intervista a "I Siciliani" di Pippo Fava: «[...] sono i giovani che dovranno prendere domani in pugno le sorti della società, ed è quindi giusto che abbiano le idee chiare. Quando io parlo ai giovani della necessità di lottare la droga, praticamente indico uno dei mezzi più potenti per combattere la mafia. In questo tempo storico infatti il mercato della droga costituisce senza dubbio lo strumento di potere e guadagno più importante. Nella sola Palermo c'è un fatturato di droga di almeno quattrocento milioni al giorno, a Roma e Milano addirittura di tre o quattro miliardi. Siamo in presenza di una immane ricchezza criminale che è rivolta soprattutto contro i giovani, contro la vita, la coscienza, la salute dei giovani.
Il rifiuto della droga costituisce l'arma più potente dei giovani contro la mafia».

Ed in altra occasione aveva detto: «Parlare ai giovani, alla gente, raccontare chi sono e come si arricchiscono i mafiosi [...] fa parte dei doveri di un giudice. Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai».

Fu anche uno studioso del fenomeno mafioso, del quale diede in più occasioni definizioni molto decise. Nella sua relazione sulla mafia tenuta nell'incontro di studio per magistrati organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura a Grottaferrata il 3 luglio 1978 così si era espresso: “Riprendendo il filo del nostro discorso, prima di occuparci della mafia del periodo che va dall'unificazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione, non era mai esistita in Sicilia”, e più oltre aggiunge: “La mafia … nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia”.

Più tardi, nella detta intervista a I Siciliani, approfondì la definizione: «La mafia è stata sempre reazione, conservazione, difesa e quindi accumulazione della ricchezza. Prima era il feudo da difendere, ora sono i grandi appalti pubblici, i mercati più opulenti, i contrabbandi che percorrono il mondo e amministrano migliaia di miliardi. La mafia è dunque tragica, forsennata, crudele vocazione alla ricchezza. [...] La mafia stessa è un modo di fare politica mediante la violenza, è fatale quindi che cerchi una complicità, un riscontro, una alleanza con la politica pura, cioè praticamente con il potere. Se lei mi vuole chiedere come questo rapporto di complicità si concreti, con quali uomini del potere, con quali forme di alleanza criminale, non posso certo scendere nel dettaglio. Sarebbe come riferire della intenzione o della direzione di indagini».

In una delle sue ultime interviste, Chinnici disse: «La cosa peggiore che possa accadere è essere ucciso. Io non ho paura della morte e, anche se cammino con la scorta, so benissimo che possono colpirmi in ogni momento. 
Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. Per un Magistrato come me è normale considerarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non impedisce né a me né agli altri giudici di continuare a lavorare».

Rocco Chinnici fu ucciso il 29 luglio 1983 con una Fiat 126 verde imbottita con 75 kg di esplosivo davanti alla sua abitazione in via Pipitone Federico a Palermo, all'età di cinquantotto anni. Ad azionare il detonatore che provocò l'esplosione fu il sicario della mafia Antonino Madonia
Accanto al suo corpo giacevano altre tre vittime raggiunte in pieno dall'esplosione: il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l'appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato, e il portiere dello stabile di via Pipitone Federico, Stefano Li Sacchi. L'unico superstite fu Giovanni Paparcuri, l'autista. Ad accorrere fra i primi furono due dei suoi figli, ancora ragazzi.

In Assise il giudice Antonino Saetta si contraddistinse per le dure pene inflitte ai sicari di Rocco Chinnici; fu anche lui ucciso, insieme al figlio Stefano, in un tragico attentato il 25 settembre 1988 a Caltanissetta.

Il processo per l’omicidio ha individuato come mandanti i fratelli Nino e Ignazio Salvo, e si è concluso con 12 condanne all’ergastolo e quattro condanne a 18 anni di reclusione per alcuni fra i più importanti affiliati di Cosa Nostra.

Maurizio Artale, su "il Fatto Quotidiano" scrive che "Oggi per fortuna la mafia non mette più le bombe nelle strade di Palermo per eliminare uomini retti e giusti che non si sono fermati davanti alla sua avanzata, ma negli ultimi 50 anni ha disseminato la storia della Sicilia di “mine antiricordo”. Sono d'accordo con ciò che dice.

La Mafia non colpisce più così scopertamente con bombe e stragi, ma cerca di eliminare dalla memoria collettiva ciò che è stato, agisce nell'ombra, derubricando a "roba vecchia" ciò che accende l'attenzione dell'opinione pubblica e in via mediata, delle istituzioni e della Politica.
"Questo omicidio viene derubricato dai mezzi di informazione e da alcune istituzioni, come vittima di serie B, come lo sono tante altre, Basile, Zucchetto, Cassarà, Giuliani, D’Agostino, Montalto, Costa, Giaccone, Livatino, Saetta, Scaglione, Terranova, Fava, Alfano, solo per citarne alcuni".

Non possiamo dimenticare questi fatti, perché anche se orribili, che nessuno di noi vorrebbe fossero mai accaduti, sono un monito importante. 

Dimenticare il sacrificio di uomini giusti per la Legalità e la Giustizia, sarebbe come disonorare la loro Memoria.
Non dobbiamo e non possiamo. Mai.


martedì 28 luglio 2015

Presentata la Carta dei diritti di Internet



Stamane, 28 luglio 2015 è stata presentata la Carta dei diritti fondamentali di Internet chiamata impropriamente "Internet Bill of rights".
Si tratta di un decalogo che declina i diritti costituzionali della nostra Costituzione al mondo di  Internet e questo è un passaggio storico per l'Italia, garantendo alcuni diritti ai cybernauti, come il diritto all'Oblio e la garanzia della Privacy, il diritto di accesso e all'autodeterminazione informatica.

***



Art. 1.  Riconoscimento e garanzia dei diritti  
1. Sono garantiti in Internet i diritti fondamentali di ogni persona riconosciuti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dalle costituzioni nazionali e dalle dichiarazioni internazionali in materia.  
2. Tali diritti devono essere interpretati in modo da assicurarne l’effettività nella dimensione della Rete. 
3. Il riconoscimento dei diritti in Internet deve essere fondato sul pieno rispetto della dignità, della libertà, dell’eguaglianza e della diversità di ogni persona, che costituiscono i principi in base ai quali si effettua il bilanciamento con altri diritti. 

Art. 2.  Diritto di accesso  
1. L’accesso ad Internet è diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale. 
2. Ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. 
3. Il diritto fondamentale di accesso a Internet deve essere assicurato nei suoi presupposti sostanziali e non solo come possibilità di collegamento alla Rete. 
4. L’accesso comprende la libertà di scelta per quanto riguarda dispositivi, sistemi operativi e applicazioni anche distribuite.  
5. Le Istituzioni pubbliche garantiscono i necessari interventi per il superamento di ogni forma di divario digitale tra cui quelli determinati dal genere, dalle condizioni economiche oltre che da situazioni di vulnerabilità personale e disabilità.  

Art. 3.  Diritto alla conoscenza e all'educazione in rete
1. Le istituzioni pubbliche assicurano la creazione, l’uso e la diffusione della conoscenza in rete intesa come bene accessibile e fruibile da parte di ogni soggetto. 
2. Debbono essere presi in considerazione i diritti derivanti dal riconoscimento degli interessi morali e materiali legati alla produzione di conoscenze. 
3. Ogni persona ha diritto ad essere posta in condizione di acquisire e di aggiornare le capacità necessarie ad utilizzare Internet in modo consapevole per l’esercizio dei propri diritti e delle proprie libertà fondamentali. 
4. Le Istituzioni pubbliche promuovono, in particolare attraverso il sistema dell’istruzione e della formazione, l’educazione all'uso consapevole di Internet e intervengono per rimuovere ogni forma di ritardo culturale che precluda o limiti l’utilizzo di Internet da parte delle persone. 
5. L’uso consapevole di Internet è fondamentale garanzia per lo sviluppo di uguali possibilità di crescita individuale e collettiva, il riequilibrio democratico delle differenze di potere sulla Rete tra attori economici, Istituzioni e cittadini, la prevenzione delle discriminazioni e dei comportamenti a rischio e di quelli lesivi delle libertà altrui. 

Art. 4.  Neutralità della rete 
1. Ogni persona ha il diritto che i dati trasmessi e ricevuti in Internet non subiscano discriminazioni, restrizioni o interferenze in relazione al mittente, ricevente, tipo o contenuto dei dati, dispositivo utilizzato, applicazioni o, in generale, legittime scelte delle persone. 
2. Il diritto ad un accesso neutrale ad Internet nella sua interezza è condizione necessaria per l’effettività dei diritti fondamentali della persona. 



Art. 5.  Tutela dei dati personali
1. Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati che la riguardano, per garantire il rispetto della sua dignità, identità e riservatezza. 
2. Tali dati sono quelli che consentono di risalire all'identità di una persona e comprendono anche i dati dei dispositivi e quanto da essi generato e le loro ulteriori acquisizioni e elaborazioni, come quelle legate alla produzione di profili 
3. Ogni persona ha diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano, di ottenerne la rettifica e la cancellazione per motivi legittimi 
4. I dati devono esser trattati rispettando i principi di necessità, finalità, pertinenza, proporzionalità e, in ogni caso, prevale il diritto di ogni persona all'autodeterminazione informativa.  
5. I dati possono essere raccolti e trattati con il consenso effettivamente informato della persona interessata o in base a altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Il consenso è in via di principio revocabile. Per il trattamento di dati sensibili la legge può prevedere che il consenso della persona interessata debba essere accompagnato da specifiche autorizzazioni.  
6. Il consenso non può costituire una base legale per il trattamento quando vi sia un significativo squilibrio di potere tra la persona interessata e il soggetto che effettua il trattamento.  
7. Sono vietati l’accesso e il trattamento dei dati con finalità anche indirettamente discriminatorie. 

Art. 6.  Diritto all'autodeterminazione informativa 
1. Ogni persona ha diritto di accedere ai propri dati, quale che sia il soggetto che li detiene e il luogo dove sono conservati, per chiederne l’integrazione, la rettifica, la cancellazione secondo le modalità previste dalla legge. Ogni persona ha diritto di conoscere le modalità tecniche di trattamento dei dati che la riguardano. 
2. La raccolta e la conservazione dei dati devono essere limitate al tempo necessario, rispettando in ogni caso i principi di finalità e di proporzionalità e il diritto all'autodeterminazione della persona interessata. 

Art. 7.  Diritto all'inviolabilità dei sistemi, dei dispositivi e domicili informatici  
1. I sistemi e i dispositivi informatici di ogni persona e la libertà e la segretezza delle sue informazioni e comunicazioni elettroniche sono inviolabili. Deroghe sono possibili nei soli casi e modi stabiliti dalla legge e con l’autorizzazione motivata dell’autorità giudiziaria.  

Art. 8.  Trattamenti automatizzati  
1. Nessun atto, provvedimento giudiziario o amministrativo, decisione comunque destinata ad incidere in maniera significativa nella sfera delle persone possono essere fondati unicamente su un trattamento automatizzato di dati personali volto a definire il profilo o la personalità dell’interessato.  

Art. 9.  Diritto all'identità  
1. Ogni persona ha diritto alla rappresentazione integrale e aggiornata delle proprie identità in Rete. 
2. La definizione dell’identità riguarda la libera costruzione della personalità e non può essere sottratta all'intervento e alla conoscenza dell’interessato. 
3. L’uso di algoritmi e di tecniche probabilistiche deve essere portato a conoscenza delle persone interessate, che in ogni caso possono opporsi alla costruzione e alla diffusione di profili che le riguardano. 
4. Ogni persona ha diritto di fornire solo i dati strettamente necessari per l’adempimento di obblighi previsti dalla legge, per la fornitura di beni e servizi, per l’accesso alle piattaforme che operano in Internet. 
5. L’attribuzione e la gestione dell’Identità digitale da parte delle Istituzioni Pubbliche devono essere accompagnate da adeguate garanzie, in particolare in termini di sicurezza. 

Art. 10.  Protezione dell’anonimato
1. Ogni persona può accedere alla rete e comunicare elettronicamente usando strumenti anche di natura tecnica che proteggano l’anonimato ed evitino la raccolta di dati personali, in particolare per esercitare le libertà civili e politiche senza subire discriminazioni o censure. 
2. Limitazioni possono essere previste solo quando siano giustificate dall'esigenza di tutelare rilevanti interessi pubblici e risultino necessarie, proporzionate, fondate sulla legge e nel rispetto dei caratteri propri di una società democratica. 
3. Nei casi di violazione della dignità e dei diritti fondamentali, nonché negli altri casi previsti dalla legge, l’autorità giudiziaria, con provvedimento motivato, può disporre l’identificazione dell’autore della comunicazione. 



Art. 11.  Diritto all'oblio 
1. Ogni persona ha diritto di ottenere la cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei riferimenti ad informazioni che, per il loro contenuto o per il tempo trascorso dal momento della loro raccolta, non abbiano più rilevanza pubblica. 
2. Il diritto all'oblio non può limitare la libertà di ricerca e il diritto dell’opinione pubblica a essere informata, che costituiscono condizioni necessarie per il funzionamento di una società democratica. Tale diritto può essere esercitato dalle persone note o alle quali sono affidate funzioni pubbliche solo se i dati che le riguardano non hanno alcun rilievo in relazione all'attività svolta o alle funzioni pubbliche esercitate. 
3. Se la richiesta di cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei dati è stata accolta, chiunque può impugnare la decisione davanti all'autorità giudiziaria per garantire l’interesse pubblico all'informazione. 

Art. 12.  Diritti e garanzie delle persone sulle piattaforme 
1. I responsabili delle piattaforme digitali sono tenuti a comportarsi con lealtà e correttezza nei confronti di utenti, fornitori e concorrenti. 
2. Ogni persona ha il diritto di ricevere informazioni chiare e semplificate sul funzionamento della piattaforma, a non veder modificate in modo arbitrario le condizioni contrattuali, a non subire comportamenti che possono determinare difficoltà o discriminazioni nell’accesso. Ogni persona deve in ogni caso essere informata del mutamento delle condizioni contrattuali. In questo caso ha diritto di interrompere il rapporto, di avere copia dei dati che la riguardano in forma interoperabile, di ottenere la cancellazione dalla piattaforma dei dati che la riguardano. 
3. Le piattaforme che operano in Internet, qualora si presentino come servizi essenziali per la vita e l’attività delle persone, assicurano, anche nel rispetto del principio di concorrenza, condizioni per una adeguata interoperabilità, in presenza di parità di condizioni contrattuali, delle loro principali tecnologie, funzioni e dati verso altre piattaforme. 

Art. 13.  Sicurezza in rete
1. La sicurezza in Rete deve essere garantita come interesse pubblico, attraverso l’integrità delle infrastrutture e la loro tutela da attacchi, e come interesse delle singole persone. 
2. Non sono ammesse limitazioni della libertà di manifestazione del pensiero. Deve essere garantita la tutela della dignità delle persone da abusi connessi a comportamenti quali l’incitamento all'odio, alla discriminazione e alla violenza.  

Art. 14.  Governo della rete  
1. Ogni persona ha diritto di vedere riconosciuti i propri diritti in Rete sia a livello nazionale che internazionale. 
2. Internet richiede regole conformi alla sua dimensione universale e sovranazionale, volte alla piena attuazione dei principi e diritti prima indicati, per garantire il suo carattere aperto e democratico, impedire ogni forma di discriminazione e evitare che la sua disciplina dipenda dal potere esercitato da soggetti dotati di maggiore forza economica. 
3. Le regole riguardanti la Rete devono tenere conto dei diversi livelli territoriali (sovranazionale, nazionale, regionale), delle opportunità offerte da forme di autoregolamentazione conformi ai principi indicati, della necessità di salvaguardare la capacità di innovazione anche attraverso la concorrenza, della molteplicità di soggetti che operano in Rete, promuovendone il coinvolgimento in forme che garantiscano la partecipazione diffusa di tutti gli interessati. Le istituzioni pubbliche adottano strumenti adeguati per garantire questa forma di partecipazione. 
4. In ogni caso, l’innovazione normativa in materia di Internet è sottoposta a valutazione di impatto sull'ecosistema digitale. 
5. La gestione della Rete deve assicurare il rispetto del principio di trasparenza, la responsabilità delle decisioni, l’accessibilità alle informazioni pubbliche, la rappresentanza dei soggetti interessati. 
6. L’accesso e il riutilizzo dei dati generati e detenuti dal settore pubblico debbono essere garantiti.  
7. La costituzione di autorità nazionali e sovranazionali è indispensabile per garantire effettivamente il rispetto dei criteri indicati, anche attraverso una valutazione di conformità delle nuove norme ai principi di questa Dichiarazione. 

giovedì 23 luglio 2015

Ricordando i ragazzi di Utoya e di Suruç


22 luglio 2011.

La strage di Utoya avvenne meno di due ore dopo dal primo attacco, un'esplosione di un'autobomba nel centro di Oslo. 
Sull'isola di Utøya, nel Tyrifjorden, era in corso un campus organizzato dalla sezione giovanile del Partito Laburista Norvegese. Un uomo vestito con una strana uniforme simile a quella della polizia e provvisto di documenti falsi giunse sull'isola e aprì il fuoco sui partecipanti al campus, uccidendone 69 e ferendone 110, di cui 55 in maniera grave.
Fu l'atto più violento mai avvenuto in Norvegia dalla fine della seconda guerra mondiale.

Il responsabile degli attentati, Anders Behring Breivik, 32enne norvegese simpatizzante dell'estrema destra, fu arrestato in flagranza ad Utøya. 
Rinviato a giudizio, fu processato tra il 16 aprile e il 22 giugno 2012 a Oslo; in tribunale affermò di aver compiuto gli atti per mandare un "messaggio forte al popolo, per fermare i danni del partito laburista" e per fermare "una decostruzione della cultura norvegese per via dell'immigrazione in massa dei musulmani". 
Riconosciuto unico responsabile e sostanzialmente sano di mente, il 24 agosto seguente Breivik fu condannato a 21 anni di carcere (pena massima dell'ordinamento norvegese), prorogabili di altri 5 per un numero indefinito di volte qualora, a pena scontata, fosse ancora ritenuto socialmente pericoloso.

Il 22 luglio 2015 cade il quarto anniversario della strage. Una strage di ragazzi che credevano che solo attraverso l'impegno civile e politico si possa incidere sulla situazione mondiale.




Come ad Utoya anche a Suruç il 21 luglio 2015 di nuovo sono stati uccisi giovani che si impegnavano in politica. 



Questo è un collage di alcuni autoritratti che loro stessi avevano pubblicato su Twitter pochi minuti prima di essere dilaniati da una loro coetanea kamikaze

Trentadue giovani socialisti turchi e curdi assassinati ieri a Suruç, a quindici chilometri da Kobane dove progettavano di ricostruire una biblioteca e un centro culturale.

Sono senza parole di fronte alla sottovalutazione di questo crimine sulla stampa europea. 

Mi colpisce il fatto che non si colga il tragico significato di quella strage. 
I giovani socialisti riuniti a Suruç impersonavano quell'impegno contro la discriminazione etnico-religiosa per la giustizia sociale necessario e che non può fermarsi ai confini geografici. 
Mi chiedo se sia possibile ignorare che l’attentato di Suruç mira al cuore dell’ideale internazionalista

Sia a Utoya che a Suruç le stragi sono state perpetrate da esseri vili e ignobili. Nel secondo caso da una diciottenne kamikaze (!)
Senza coscienza, col lavaggio del cervello? Non lo so, forse. Senza umanità, sicuramente.

Quei ragazzi intendevano l'impegno di militanza come politico nella più alta accezione del termine: veniva dal desiderio di un mondo migliore, di pace, più equo e non si aspettavano che venisse loro consegnato a casa ma capivano che se aspetti sempre che facciano gli altri, si va poco lontano. 
Devi essere tu il primo a cambiare se vuoi che cambi anche il mondo attorno a te.

Non dimentichiamo le vite spezzate di questi ragazzi. Del perché sono morti. Non lasciamo che i fatti di Suruç, quelli di Utoya, affondino nell'indifferenza dilagante.

#Utoya #Suruç

venerdì 10 luglio 2015

Addio al Dottor Zivago alias Omar Sharif



Addio a Omar Sharif : un attacco di cuore lo ha stroncato a 83 anni, in un ospedale del Cairo, dopo l'ultima battaglia contro l'Alzheimer.

Il suo vero nome era Michel Dimitri Shalhoub, figlio di genitori libanesi, era nato ad Alessandria d'Egitto. Diplomato al Victoria College, laureato in matematica e fisica al Cairo, scopre il cinema nel 1953 quando viene notato da un giovane regista, Youssef Chahine, che lo sceglie a fianco di una diva dell'epoca, Faten Hamama per il suo "Lotta sul fiume". Il successo personale prelude a un doppio grande amore: quello per Faten che lo sposerà due anni dopo e quello per il cinema.

In otto anni interpreta oltre venti film, tra cui "La castellana del Libano" e "I giorni dell'amore" che arrivano anche sui nostri schermi; per ottenere il consenso dei genitori della sposa si converte all'Islam e sceglie il nome che lo accompagnerà per la vita, Omar El Sharif.

Con questo nome si presenta a David Lean che sta scegliendo il cast per "Lawrence d'Arabia" nel 1961: parla l'inglese e il francese senza imbarazzo, si comporta come un occidentale, ma ha negli occhi il furore del Mediterraneo.



Lean gli affida il ruolo dello Sceriffo Alì, tra Peter O'Toole, Anthony Quinn e una schiera di "tombeurs des femmes" del cinema anglosassone. Sharif non ha grande considerazione del suo partner: diceva che "O'Toole è la cosa più simile a una bistecca che abbia mai incontrato". Il suo ruolo sarebbe da comprimario, ma Omar Sharif lo plasma fino a farne l'autentico eroe senza macchia dell'intera epopea.

La nomination all'Oscar del '63 è la naturale conseguenza e gli apre le porte di Hollywood. Ciononostante le scelte successive dell'attore sono, a dir poco estemporanee.

Arriva in Italia con il suo fascino esotico per 'polpettoni' come 'La caduta dell'impero romano', un 'Marco Polo' e un 'Gengis Khan', transita per Hollywood con film non memorabili "Una Rolls Royce gialla", si salva per merito del suo pigmalione. Lean lo traveste da russo per l'adattamento del "Dottor Zivago" (1965).



Il successo è planetario, accompagnato da un Golden Globe che sorprendentemente non va di pari passo con la candidatura all'Oscar. Omar Sharif sceglie il piacere della vita: torna in Europa per "C'era una volta" di Francesco Rosi, veste i panni di un ufficiale tedesco per "La notte dei generali" di Anatole Litvak (ancora in coppia con O'Toole, ma stavolta l'eroe è Sharif), canta con Barbra Streisand in "Funny Girl" e si innamora istantaneamente della diva americana.

Poi si cala nei panni dell'Arciduca asburgico per "La tragedia di Mayerling", veste i panni del "Che", dilapida i guadagni e la fama finendo nel calderone dei western all'italiana "L'oro dei McKenna", va in Francia con "Diritto d'amare", ritrova Barbra Streisand in "Funny Lady" (1975).

Sono passati poco più di dieci anni dal primo successo internazionale e Omar Sharif ha già visto l'ampio panorama del cinema mondiale. Nel frattempo ha imparato l'italiano, parla il greco e il turco, ha pubblicato il suo primo manuale di bridge ed è entrato nella lista dei "top players" del gioco.

"Finisci a fare una vita - racconta nella sua autobiografia - in totale solitudine: alberghi, valigie, cene senza nessuno che ti metta in discussione. L'attrazione del tavolo verde per me diventò irresistibile. E ci ho sperperato delle fortune. A un certo momento ho capito e ho deciso di smettere anche con il bridge per non sentirmi prigioniero delle mie passioni". "Facevo film per pagare debiti - ricorda ancora - e alla fine mi sono stufato".

Dovrà aspettare l'incontro con il francese Francois Dupeyron, per ritrovarsi.

Con il film "Monsieur Ibrahim e i fiori del corano" emoziona il pubblico e la giuria alla Mostra di Venezia; nel 2003 Omar Sharif riceve il Leone d'oro alla carriera e ritrova anche le sue origini mediorientali con l'interpretazione dell'anziano commerciante che scopre la sua vocazione paterna incontrando il giovane ebreo Momo Schmidt.

Riconquistato pubblico e critica, adesso sembra un uomo placato nonostante perduri la leggenda delle sue furibonde collere, delle sue spettacolari bevute, della sua proverbiale galanteria.

Ha frequentato nuovamente il piccolo schermo con "San Pietro" per la Lux Vide, ha dato la sua voce profonda al Leone salvifico delle "Cronache di Narnia", ha fatto da spalla a Viggo Mortensen in "Hidalgo", e ad Antonio Banderas ne "Il tredicesimo guerriero", è tornato a recitare in Egitto e in Francia.

Tra le sue ultime apparizioni, si annovera un cameo muto nei panni di se stesso nel film di Valeria Bruni Tedeschi nel film "Un castello in Italia" (2013).

Se ne va un grande attore che ha saputo vivere almeno tre vite diverse: da star, da giocatore di bridge, da seduttore e artista della vita. Tuttavia il suo viso è ormai scolpito nel tempo, fissato in quell'ironico sorriso che lo ha reso celebre, con una carriera costellata da oltre cento film, tra passioni, debiti, curiosità e voglia di una vita che ha sempre sbranato con voracità lucida.