Secondo l’
American Psychiatric Association, il
bambino americano medio prima di arrivare ai 18 anni vede più di
200.000 atti di violenza e 16.000 omicidi in TV. Ma sapete qual’è
l’immagine considerata troppo scandalosa e “dannosa” per i loro occhi? I
capezzoli delle donne.
Negli Stati Uniti è illegale per le donne apparire in topless in tre stati e, secondo il
Time, leggi ambigue lo proibiscono di fatto negli altri stati.
Dal 2012 l’attivista e
filmmaker Lina Esco sta conducendo una guerra contro questo doppio standard sessista secondo il quale sarebbe scandaloso unicamente il capezzolo femminile. Tre anni fa Lina
ha infatti lanciato un movimento contro le politiche di nudità pubblico-sessiste chiamato “Free the Nipple”, tradotto alla lettera “
liberiamo il capezzolo“, e lo ha fatto mentre lavorava su un film con lo stesso
nome e oggetto.
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Allison Rapson, Casey LaBow, Lina Esco, e Kassidy Brown | |
Come la Esco ha dichiarato in un articolo nel 2013 apparso sull’
Huffington Post, “siamo in un caso in cui è la vita che imita l’arte – o più precisamente, mi piace pensare,
è attraverso l’arte che si catalizza l’azione civica civile,
le donne in topless, gruppi di attivisti e artisti di graffiti hanno
iniziato ad agire a New York City, a condurre una guerra culturale per
la nostra libertà”.
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Free the Nipple, il film |
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Che cosa hanno ottenuto finora Lina Esco e gli aderenti a questo movimento? I capezzoli erano un tabù per i social media: nel 2014, Facebook ha revocato il divieto sulle immagini dell’allattamento al seno,
ma non è riuscito ad estendere la stessa politica al fine di consentire
le immagini dei capezzoli delle donne in altri contesti.
“Quando ho iniziato la mia campagna
online, Facebook e Instagram avevano vietato le foto di donne in topless
più velocemente di quanto noi potremmo pubblicarle”, ha scritto Lina
Esco nel 2013.
“Perché si possono mostrare decapitazioni pubbliche in
Arabia Saudita su Facebook, ma non un capezzolo? Perché si possono
vendere pistole su Instagram, ma tuttavia viene sospeso il tuo account
per aver pubblicato la parte più naturale del corpo di una donna?”
La scrittrice femminista e attivista Soraya Chemaly
ha guidato una campagna che ha portato i partecipanti ad inviare
oltre 60.000 tweet e 5.000 messaggi di posta elettronica per opporsi a
questa iniquità di trattamento delle immagini sui social.
“Il problema non sono i seni delle donne”, dichiara la Chemaly a
Mic,
“è l’oggettivazione sessuale ad esserlo.
C’è una differenza sostanziale tra la sessualizzazione e la sessualità.
I seni non fanno male ai bambini, i seni li nutrono ed è la
sessualizzazione del corpo delle donne che in realtà li danneggia di
più”.
Instagram ha cercato di seguire l’esempio di Facebook, ma gli attivisti si sono adoperati anche su questo fronte: infatti, nel 2014, l’artista
Micol Hebron ha
creato un rendering di un capezzolo maschile, incoraggiando le donne a
usarlo su Instagram per coprire i propri capezzoli, per richiamare
l’attenzione su quanto sia ridicolo questo standard, con uno sforzo che
ha guadagnato un rinnovato slancio nei mesi scorsi.
Sono molte le
celebrità che hanno abbracciato la causa e pubblicizzato lo slogan,
soprattutto attraverso i social.
Miley Cyrus è stata una delle prime celebrità a sponsorizzare la causa.
Nel 2013, ha caricato su Twitter una sua foto contenente l’immagine di
un capezzolo appoggiato sul proprio occhio e contrassegnata dallo slogan
“Free the nipple”. Miley
ha continuato a sostenere la campagna anche in maniera provocatoria, tramite la pubblicazione di foto in topless su Instagram (prontamente rimosse, ovviamente).
Intervistata da
Jimmy Kimmel poco
prima del debutto come conduttrice degli MTV Video Music Awards, si è
presentata in studio con le areole coperte da due cuoricini tempestati
di lapislazzuli. “Cosa pensa tuo padre quando accende la tv e ti vede
così?” le ha chiesto Kimmel. “Beh,
mio padre è un figo, preferisce che io sia una brava persona con le tette di fuori, piuttosto che una stronza con la maglietta. Se hai le tette di fuori non puoi essere stronzo” ha risposto Miley Cyrus.
Anche
Scout e
Rumer Willis, figlie di Bruce Willis e Demi Moore hanno sostenuto questa campagna. Nel 2014,
Scout Willis veniva
immortalata mentre camminava per le strade di New York City in topless
dopo che Instagram aveva rimosso una delle sue foto dal profilo.
“Tutti dicono che la politica deve essere uguale per tutti“, ha detto nel 2014. “A
quanto pare, però, è OK per le donne di essere degradate e
ipersessualizzate, ma non è bene per loro essere orgogliose dei loro
corpi“. Rumer Willis
ha sostenuto la sorella con una raccolta fondi subito dopo. “Sono molto
orgogliosa di lei, si sta battendo per quello in cui crede”, ha detto a
US Weekly, indossando una T-shirt a tema con l’immagine di seni
nudi.
Anche altre celebrità, tra cui
Cara Delevingne, Chelsea Handler e
Chrissy Teigen, hanno aderito alla causa esponendo i propri capezzoli sui social media. Non solo. Persino la deputata islandese
Björt Ólafsdóttir si è schierata a favore della campagna.
Recentemente anche l’ex modella
Naomi Campbell ha postato su instagram una sua immagine in versione
total nude con le areole scoperte, usando l’hastag
#FreeTheNipple e aderendo a sua volta al movimento.
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Cara Delevingne, #FreetheNipple | |
Non ci sono solo donne tra gli attivisti che hanno aderito all’iniziativa #freethenipple.
L’attore femminista
Matt McGorry (
Orange is the new black, How to get away with murder) ha aderito con entusiasmo al movimento: “#FreeTheNipple
riguarda il diritto delle donne di rivendicare ciò che i loro seni e
capezzoli significano per loro, e non da come gli uomini e gran parte
della società decidono ciò che significano le loro areole” ha scritto
McGorry su Instagram.
Negli Stati Uniti sono tante le persone che stanno protestando:
ad aprile, un gruppo di manifestanti ha manifestato per Venice Beach a
Los Angeles per permettere alle donne di prendere il sole in topless. Il
23 maggio, più di 100 studenti si sono riuniti presso l’Università
della California, San Diego, a sostegno di #freethenipple. Ad inizio agosto, 70 persone hanno protestato a Springfield, nel Missouri, in nome della causa. Non solo: i sostenitori di “Free the Nipple” si sono seduti in topless su Hampton Beach nel New Hampshire.
Alcune sostenitrici indossano un “TaTa tops“: si tratta di un “bikini modellato sul corpo femminile che dispone di un capezzolo su ogni coppa” che il suo creatore ha inventato come modo per sostenere il movimento.
“L’obiettivo della campagna è l’uguaglianza” afferma Lina Esco. “Questo
è quello che dovevamo fare per spianare la strada all’uguaglianza,
ossia farne parlare. Non c’è altro modo in cui le ruote starebbero
girando a meno che ci fosse una scintilla, qualcosa di controverso. Questo è
Free the Nipple”.
Il movimento è stato senza dubbio capace di
coinvolgere le persone attraverso immagini sagaci e ammiccanti, bikini
ingannatori, e magliette auto-censurate. Riusciranno i suoi sostenitori ad ottenere la modifica delle policies dei social networks di censura e un fattivo cambiamento culturale?
Solo il tempo potrà dircelo, intanto però
la scintilla è stata innescata. Sembra altamente probabile che possa
degenerare in una esplosione!
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