Tutte le donne di Prassagora

Tutte le donne di Prassagora
Pride and Prejudice, Jane Austen

mercoledì 12 agosto 2015

Ricordiamo l'Eccidio di Sant'Anna di Stazzema


Oggi, ricorre l'anniversario dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema, quando nel paese toscano le SS uccisero 560 persone.

Non possiamo dimenticare che il 12 agosto 1944 a S. Anna di Stazzema nazisti e fascisti compirono una tra le stragi piu' efferate. Fra i massacrati, 130 bambini.
Dimenticarli sarebbe ucciderli ancora.
Ricordiamo i loro nomi nelle nostre coscienze, nel chiedere incessantemente verità e giustizia per tutte le vittime delle stragi nazifasciste.
L'eccidio di Sant'Anna di Stazzema fu un crimine contro l'umanità commesso dai soldati tedeschi della 16. SS-Panzergrenadier-Division "Reichsführer SS", comandata dal generale (Gruppenführer) Max Simon, il 12 agosto 1944 e continuato in altre località fino alla fine del mese.
Il giorno precedente, l'11 agosto 1944, la divisione aveva commesso già l'eccidio della Romagna.

All'inizio dell'agosto 1944 Sant'Anna di Stazzema era stata qualificata dal comando tedesco come "zona bianca”, ossia località adatta ad accogliere sfollati: per questo la popolazione, in quell'estate, aveva superato le mille unità.
I partigiani avevano abbandonato la zona senza aver svolto operazioni militari di particolare entità contro i tedeschi.
Nonostante ciò, all'alba del 12 agosto 1944, tre reparti di SS salirono a Sant'Anna mentre un quarto chiudeva ogni via di fuga a valle sopra il paese di Valdicastello. Alle sette il paese era circondato. Quando le SS giunsero a Sant'Anna, accompagnati da fascisti collaborazionisti che fecero da guide, gli uomini del paese si rifugiarono nei boschi per non essere deportati mentre donne, vecchi e bambini, sicuri che nulla sarebbe capitato loro, in quanto civili inermi, restarono nelle loro case.


In poco più di tre ore vennero massacrati 560 civili, in gran parte bambini, donne e anziani.
I nazisti li rastrellarono, li chiusero nelle stalle o nelle cucine delle case, li uccisero con colpi di mitra, bombe a mano colpi di rivoltella e altre modalità di stampo terroristico.
La vittima più giovane, Anna Pardini, aveva 20 giorni. Gravemente ferita, la rinvenne agonizzante una sorella miracolosamente superstite, tra le braccia della madre ormai morta. Morì pochi giorni dopo nell'ospedale di Valdicastello. Infine, incendi appiccati a più riprese causarono ulteriori danni a cose e persone.


Non fu una rappresaglia (ovvero di un crimine compiuto in risposta a una determinata azione del nemico): come è emerso dalle indagini della procura militare di La Spezia, infatti, si trattò di un atto terroristico premeditato e curato in ogni dettaglio per annientare la popolazione, la loro volontà e tenerla sotto controllo grazie al terrore.

L'obiettivo era quello di distruggere il paese e sterminare la popolazione per rompere ogni collegamento fra le popolazioni civili e le formazioni partigiane presenti nella zona.

La ricostruzione degli avvenimenti, l'attribuzione delle responsabilità e le motivazioni che hanno originato l'Eccidio sono state possibili grazie al processo svoltosi al Tribunale militare di La Spezia che si è concluso nel 2005 con la condanna all'ergastolo per dieci SS colpevoli del massacro; sentenza confermata in Appello nel 2006 e ratificata in Cassazione nel 2007.

Nella prima fase processuale si è svolto, grazie al pubblico ministero Marco De Paolis, un imponente lavoro investigativo, cui sono seguite le testimonianze in aula di superstiti, di periti storici e persino di due SS appartenuti al battaglione che massacrò centinaia di persone a Sant'Anna.

Fondamentale, nel 1994, anche la scoperta avvenuta a Roma, negli scantinati di Palazzo Cesi, di un armadio chiuso e girato con le ante verso il muro, ribattezzato poi “armadio della vergogna”, poiché nascondeva da oltre 40 anni documenti che sarebbero risultati fondamentali ai fini di una ricerca della verità storica e giudiziaria sulle stragi nazifasciste in Italia nel secondo dopoguerra.



Prima dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema, nel giugno dello stesso anno, SS tedesche, affiancate da reparti della X MAS, massacrarono 72 persone a Forno. Il 19 agosto, varcate le Apuane, le SS si spinsero nel comune di Fivizzano (Massa Carrara), seminando la morte fra le popolazioni inermi dei villaggi di Valla, Bardine e Vinca, nella zona di San Terenzo. Nel giro di cinque giorni uccisero oltre 340 persone mitragliate, impiccate, persino bruciate con i lanciafiamme.

Nella prima metà di settembre, con il massacro di 33 civili a Pioppetti di Montemagno, in comune di Camaiore (Lucca), i reparti delle SS portarono avanti la loro opera nella provincia di Massa Carrara. Sul fiume Frigido furono fucilati 108 detenuti del campo di concentramento di Mezzano (Lucca), a Bergiola i nazisti fecero 72 vittime.
Avrebbero poi continuato la strage con il massacro di Marzabotto.

martedì 11 agosto 2015

In ricordo di Robin Williams


"I always thought that the worst thing in life was to be alone. I't's not so. The worst thing is to be with people who make you feel alone"
- Robin Williams -

L'11 agosto 2014Robin Williams ha spento il suo sorriso, ci ha lasciato un grande attore che ha saputo farci emozionare, farci ridere, farci piangere con le sue interpretazioni. 

Tanti personaggi diversi e una grande capacità di entrare nella parte, di improvvisare.

Grazie Robin.

giovedì 6 agosto 2015

Orgoglio Curvy? Non per Instagram, che poi ci ripensa


La notizia dell’abolizione dell’hashtag “curvy” da parte di Instagram aveva fatto molto scalpore:  l’app aveva bloccato la parola nei risultati di ricerca, per evitare che venisse usata per condividere foto di nudo non consentite dal regolamento.

Le nuove regole del social network avevano delineato un approccio molto più restrittivo rispetto al passato, anche se poi qualche contraddizione c’è sempre. Per esempio, si potevano ancora cercare, al momento,“#curvygirl” e “#curvywomen”.


Una portavoce ha spiegato: “Confermo che abbiamo bloccato l’hashtag #curvy. Era usato per condividere contenuti che violano le nostri linee guida sulla nudità. Va sottolineato che il blocco non ha niente a che vedere con il termine ‘curvy’ in se stesso“.

La censura dell’hashtag è poi stata rimossa dopo la reazione degli utenti del noto social, attraverso la creazione dell’hashtag #stillcurvy   e la mobilitazione di numerose influencers IG,  impegnate da tempo nella divulgazione della accezione positiva del termine “curvy” per identificare una comunicazione body positive attraverso l’utilizzo proprio di Instagram. In ogni caso la presa di posizione della nota app, ha aperto un grosso dibattito in rete a proposito di ciò che è lecito postare all’interno dei social network.

“Curvy” è l’aggettivo inglese che indica una donna dalle forme prosperose, e il relativo hashtag dovrebbe avere la funzione di disseminare e trovare più facilmente contenuti collegati a questo tema.
Altri hashtag come #anorexic, #anorexilove, #straightwomen che corrono lo stesso rischio non sono stati bannati.
La decisione ha creato un vero e proprio movimento d’opinione e sollevato polemiche visto che questo termine viene ormai utilizzato per indicare corpi formosi in un’accezione positiva, in lotta con le discriminazioni fisiche.


Il punto non è che #curvy è meglio di #skinny nella società o nel settore della moda.
Perché si lotta per l’inclusione e l’accettazione di tutte le forme e dimensioni, perché si può essere belle sempre fino a quando si è in forma e sani.



Perché dovrebbe essere accettabile vedere una modella magrissima in una foto piuttosto che una donna curvy?
Il tema è capire se i social networks possano decidere al posto nostro e operare nella direzione opposta del principio su cui sono nati e si sono evoluti: dare a ognuno la possibilità di incontrarsi e discutere su tutto, nel regno in perenne costruzione della libertà d’espressione.
Tornando al caso “curvy”, anche i contenuti sotto l’hashtag  #Thin possono condurre a nudità di altra natura, a immagini di donne magre, esili, sottili, perfino anoressiche.

Il problema è appunto chi decide cosa deve essere bannato?

Innanzitutto occorre ci sia una segnalazione che viene raccolta da uno gruppo di esperti che lavorano al servizio di queste piattaforme; esistono tabelle, corredate di istruzioni a cui gli esperti devono attenersi, che consentono loro di prendere immediati provvedimenti  di fronte a violazioni evidenti della policy dell’azienda e del sito per cui lavorano: immagini scioccanti come corpi nudi, sangue, pedopornografia, testi altamente equivoci, insulti.


Tuttavia le cose non sono sempre così lineari.
Ricorderete il caso della richiesta di neomamme e dei loro supporter di non cancellare i post in cui si vedono neonati allattati al seno. Facebook non lo permetteva.
Altre volte, invece la decisione è semplice: ad esempio nel caso della rimozione delle teste mozzate dall’Isis all’interno dei post di Twitter.

La questione del controllo dei contenuti sensibili sui social media è un nodo che dovrà trovare soluzione, attraverso un equilibrio tra libertà d’opinione e rispetto della pubblica decenza e divieto di atti osceni, potendo considerare le piattaforme dei social come “luogo pubblico” essendo accessibile a qualunque utente tramite iscrizione.

 Photo credits:
Manik Mag, Lucio Giordano, Daily Mail, The Fashion Loser

Articolo originariamente pubblicato su Stream! Magazine