Tutte le donne di Prassagora

Tutte le donne di Prassagora
Pride and Prejudice, Jane Austen

mercoledì 10 dicembre 2014

Cassazione: Tutori e Amministratori di sostegno sono Pubblici Ufficiali




La VI sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 50754/2014, ha chiarito che devono essere equiparati di tutori e amministratori di sostegno sotto il profilo della configurabilità, in capo agli stessi, della qualifica di pubblico ufficiale.
La vicenda presa in esame dalla Corte vede come soggetto attivo un avvocato che, delegato dal sindaco nell'ambito di diverse amministrazioni di sostegno e tutele, si appropriava di alcune somme di denaro appartenenti ai soggetti incapaci configurando così il reato di peculato

La difesa, rilevando sia la mancanza della disponibilità materiale delle somme sottratte sia la mancanza della qualifica di pubblico ufficiale, contestava la configurabilità stessa di tale reato.


La Corte ribadiva la qualifica di pubblico ufficiale in capo a soggetti che svolgono le funzioni di tutore e curatore, con conseguente integrabilità del reato di cui all'art. 314 codice penale in caso di condotta appropriativa delle somme appartenenti agli incapaci e ricevute in ragione dell'ufficio rivestito.

Ad avviso dei giudici di legittimità, il medesimo reato è altresì integrabile dall'amministratore di sostegno poichè  
"la verifica della reale attività esercitata e degli scopi perseguiti dall'amministratore di sostegno consente di attribuirgli, negli stessi termini del tutore, la veste e qualità di pubblico ufficiale, considerato il complesso delle norme a lui applicabili ed in particolare: 
a) la prestazione del giuramento prima dell'assunzione dell'incarico (art. 349 Cod.civ.); 
b) il regime delle incapacità e delle dispense (artt. 350-353 Cod. civ.); 
c) la disciplina delle autorizzazioni, le categorie degli atti vietati, il rendiconto annuale al giudice tutelare sulla contabilità dell'amministrazione (artt. 374-388 Cod. civ.); 
d) l'applicazione, nei limiti di compatibilità, delle norme limitative in punto di capacità a ricevere per testamento (artt. 596, 599 Cod. civ.) e capacità di ricevere per donazioni (art. 779 Cod. civ.)".


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 Bibliografia:



Cassazione: tutori e amministratori di sostegno sono pubblici ufficiali., http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_17056.asp

martedì 9 dicembre 2014

Ladylike vs LadyBindi: cercasi opzione di riserva




Dopo la controversa intervista rilasciata da Alessandra Moretti per il Corriere della Sera sul web si è scatenata un'onda anomala di commenti e endorsement a favore di ladylike o ladybindi.
Al di là delle colorite opinioni in merito l'argomento di fondo è di spessore e riguarda il tema della figura delle donne in politica.


Secondo la candidata a governatore del Veneto oggi in Politica deve prevalere lo stile "ladylike": ossia donna che piace con uno stile moderno, che adesso è il momento delle donne: la politica ora non può fare a meno di loro. Sono "belle, intelligenti ma soprattutto brave". Sempre e comunque: il diritto alla bellezza come guerra di civiltà. "Le critiche non mi fermeranno".



Difende a spada tratta le donne di governo Marianna Madia e Maria Elena Boschi, scelte perché "brave, preparate, prima ancora che belle,eleganti, con un loro stile personale". Al diavolo i critici da prendere di petto: "Ma che c'hai, che ti ho fatto? Ti do fastidio sono brava e bella? E' perchè ho gli occhi blu?"



Archiviata Rosy Bindi e il suo stile austero "che mortificava la femminilità", Alessandra Moretti  rivendica uno stile proprio nel fare politica senza acquisire uno stile maschile.

Afferma che "La bellezza in Politica viene da sempre incorniciata in un recinto negativo. In realtà la bellezza non è incompatibile con l'intelligenza". "Quando sei intelligente vieni attaccata, se sei pure bella sei attaccata ancora di più. Poi ovviamente ci sono casi tristissimi come l'ex consigliera regionale in Lombardia, Nicole Minetti": di cui dice che "la sua bellezza è stata utilizzata, non aveva le competenze".


A favore di LadyBindi invece si pone Giuseppe Cruciani: la Zanzara più irriverente della radio commenta con Formiche.net l’intervista di Alessandra Moretti, candidata del Pd a governatore del Veneto, a Corriere tv. Un’intervista tra lo choc e lo chic in cui l’europarlamentare renziana si autodefinisce “brava, intelligente e bella”, certifica lo stile “ladylike, che deve piacere” dell’era Renzi e critica lo stile della Bindi “che mortificava la bellezza”.



Ma che vorrà dire ‘ladylike?”, si domanda innanzitutto Cruciani, obiettando come non ci si possa auto-attribuire l’intelligenza e la bravura: “Non si hanno prove di queste qualità, è incredibile che Alessandra Moretti si autodefinisca così”, dice il giornalista.

Sono lontano mille miglia da Rosy Bindi – spiega Cruciani a proposito del passaggio contro l’ex segretario democrat– ma le parole della Moretti verso di lei sono centomila volte peggio rispetto alla storica battuta di Berlusconi, “più bella che intelligente”, che tanto indignò a sinistra. Quella del Cavaliere era solo una battuta, più o meno riuscita, quella della Moretti ha la pretesa di essere una cosa seria e proviene da un’esponente dello stesso partito”. Ecco perché, secondo Cruciani, l’europarlamentare veneta avrebbe fatto meglio a stare zitta.


Ciò che è veramente inedito in questa intervista è “l’ostentazione della bellezza, l’esplicitare alcuni particolari come le meche o la ceretta – fa notare il giornalista – anche qui se una politica di Forza Italia avesse detto come ha fatto la Moretti che va dall’estetista una volta a settimana, l’avrebbero massacrata”.



Bellezza sdoganata anche a Sinistra dunque? “Non è che prima di Renzi non c’erano politiche belle anche a sinistra ma è chiaro che il presidente del Consiglio getta un occhio anche su questo aspetto”, chiarisce Cruciani, secondo cui Moretti comunque non sdogana nulla: “Una ragazza carina, non molto di più, l’intervista è bellissima perché batte sull’unica cosa veramente interessante che la riguarda: la sua vita privata. Del resto non mi pare sia ricordata per un’idea originale o una particolare proposta politica. Di lei, vengono in mente il suo paragone tra Bersani e Cary Grant e le sue litigate con Andrea Scanzi in tv”.



Secondo il conduttore della celebre trasmissione su Radio24, l’impegno principale della Moretti è “stare in tv. Vive da tre anni in campagna elettorale permanente, prima con Bersani, poi con Renzi per l’europarlamento dove diceva che ‘il Pd deve mandare i migliori’ e ora, giusto perché l’Europa non deve essere utilizzata come un autobus, punta alla Regione Veneto”.

Ma lo stile “ladylike” qui non funzionerà, secondo Cruciani: “Ho grandi dubbi che il nord-est si faccia affascinare dallo stile ladylike, qui le questioni sono altre e penso che il metodo della Moretti possa risultare addirittura respingente”.


Se nell'intervista al Corriere la Moretti adotta un tono un po' frivolo e polemico verso Rosy Bindi e il suo stile, tuttavia nei contenuti fa alcune osservazioni innegabili: ossia il fatto che in politica le donne vengano sempre attaccate sul campo estetico, cosa che parimenti non accade ai colleghi maschi.



A sommesso avviso di chi scrive, non solo in Politica ma anche nell'ambiente lavorativo le donne dovrebbero avere la possibilità di avere il proprio stile senza dover copiare il piglio maschile: dove per "proprio stile" si intende la propria sensibilità e l'utilizzo delle migliori qualità femminili nella gestione delle problematiche lavorative: non certo la visita settimanale dall'estetista o l'abito sartoriale su misura.



Essere d'esempio per le donne che si rappresentano quando si è un personaggio pubblico è certamente un dovere morale e professionale ma dovrebbe intendersi primariamente a livello di principi, valori e condotta e non del look.



Rimane quindi da augurarsi che possa avanzare e prevalere una terza opzione ai due stili Ladylike e LadyBindi: donne in Politica che con serietà, sobrietà e buon gusto attendano ai propri doveri di amministratori della cosa pubblica senza indulgere a vanitosi autoscatti e mise à la page dove apparire conta più di essere. Questo senza però nemmeno cadere nell'eccesso opposto.

La via dell'equilibrio e del buon senso potrebbe aiutare in questa direzione: avere più LadySubstance e meno Ladyappearance non guasterebbe.


In conclusione lasciamo un piccolo quesito alle donne in Politica (ma vale per tutte): sarebbe il caso di dimostrare maggiore modestia nella celebrazione delle proprie virtù, secondo il saggio detto contadino secondo cui "Chi si loda s'imbroda"?

Ad avviso di chi scrive sarebbe auspicabile ma non aspettiamoci miracoli.


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Bibliografia:

Huffington Post, Redazione, http://www.huffingtonpost.it/2014/11/18/alessandra-moretti-ladylike_n_6176932.html;
Fabrizia Argano, Formiche, http://www.formiche.net/2014/11/19/cosi-cruciani-smonta-lo-stile-lady-like-alessandra-moretti/

venerdì 5 dicembre 2014

Imu terreni: arriva la proroga



L'Imu dei terreni ex montani si avvia verso una proroga a giugno e il Governo punta a sfruttare questo tempo per individuare criteri più solidi con cui distinguere chi dovrà pagare da chi invece manterrà l'esenzione. 
Lo strumento tecnico per far slittare la scadenza, decreto legge da far confluire nella manovra o emendamento alla stessa legge di stabilità, sarà scelto a breve, ma la decisione politica è stata presa e sarà confermata stamattina dal sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta in risposta al question time al Senato. Nulla cambia, invece, per i terreni che già pagavano l'Imu con le vecchie regole.

La rivolta corale contro il decreto retroattivo spuntato in questi giorni, che ha coinvolto associazioni dell'agricoltura, professionisti e amministratori locali sta dunque per ottenere un primo risultato. 
Il rinvio sarà accompagnato da una forma di “accertamento convenzionale” dell'entrata, perché i 350 milioni che i proprietari non più esenti avrebbero dovuto pagare sono già stati spesi nel mosaico delle coperture al bonus da 80 euro e a dicembre i conti dei Comuni non possono più essere corretti.

A spingere definitivamente il Governo verso la proroga sono stati anche i pesanti smottamenti politici che l'apparizione del decreto aveva prodotto nella stessa maggioranza. Ieri 100 deputati del Pd hanno firmato la lettera promossa dai loro colleghi Enrico Borghi, Massimo Fiorio e Walter Verini per chiedere a Renzi e Padoan di spostare la scadenza. E anche nell'Ncd c'era aria di battaglia, come annunciato per esempio da Nunzia De Girolamo, ministro delle Politiche agricole nel Governo Letta e oggi presidente dei deputati alfaniani.

Il rinvio della scadenza, che con tutta probabilità sarà spostata a giugno 2015 in concomitanza con l'acconto della futura «tassa locale», è solo la prima mossa, perché anche i criteri utilizzati per individuare i nuovi contribuenti hanno bisogno di una revisione decisa se non vogliono andare incontro a un sicuro contenzioso. 

Per definire la geografia dei pagamenti il decreto ha diviso i Comuni in tre fasce, sulla base dell'«altitudine al centro», misurata cioè nel punto in cui si trova il municipio: l'esenzione totale sarebbe stata limitata ai Comuni con altitudine superiore a 600 metri, mentre fra 281 e 600 metri l'Imu avrebbe evitato solo i terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali e nei Comuni fino a 280 metri avrebbe invece coinvolto tutti.
I terreni, però, in genere non si trovano nella piazza centrale e un criterio così puntuale avrebbe finito per ignorare la geografia dei tanti Comuni, per esempio alle Cinque Terre o in Costiera Amalfitana, nel Monferrato oppure in Umbria, hanno il centro abitato a un'altitudine inferiore rispetto ad ampie aree del territorio.

Il problema nasce dal fatto che la “riforma” dell'Imu agricola è partita dalla coda, cioè dall'esigenza di trovare in qualche modo i 350 milioni già scritti nel decreto sul bonus Irpef. L'amministrazione, a quanto risulta, aveva tentato qualche strada alternativa, considerando per esempio la media fra il terreno più alto e quello più basso oppure un'altitudine indicativa calcolata sull'ampia maggioranza (l'80%) del territorio comunale, ma secondo i calcoli un sistema di questo tipo non sarebbe riuscito a raggranellare più di 300 milioni. 

I mesi aggiuntivi che il Governo sta per darsi potrebbero servire anche per trovare in qualche altro modo i 50 milioni mancanti, una cifra non impossibile per un bilancio pubblico da 800 miliardi. Sempre che le stime reggano alla prova dei fatti, perché l'allegato al decreto con le cifre divise per Comune è stato subito contestato da parecchie amministrazioni locali.
 L'ostacolo fondamentale è stato rappresentato dal calendario: la revisione delle esenzioni è prevista fin da aprile, ma il decreto attuativo è spuntato solo a pochi giorni da una scadenza che avrebbe imposto a milioni di contribuenti di versare tutta l'Imu dell'anno.
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Bibliografia:

Gianni Trovati, Il Sole 24ore, http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2014-12-04/imu-terreni-arriva-rinvio-080639.shtml?rlabs=1

lunedì 1 dicembre 2014

Approvata la riforma del Jobs Act




 I punti focali della riforma sono TRE: 

1) contratti e costo del lavoro; 
2) ammortizzatori e centri per l’impiego; 
3) rappresentanza sui luoghi di lavoro, contrattazione salariale e partecipazione dei lavoratori.

Per ora il Governo, è solo al primo punto, infatti per ora il Jobs Act è fermo all’accordo sul contratto a tutele crescenti e la contestuale revisione dell’articolo 18
Nella legge delega sono previste anche la riforma degli ammortizzatori e dei centri per l’Impiego, non è invece prevista per nulla la riforma della rappresentanza e della contrattazione. 
Il Jobs Act potrà essere un successo solo se si è d’accordo sugli obiettivi: il numero di 800 mila posti di lavoro sono da intendere come sostitutivi e non addizionali.

In un paese che cresce allo zero per cento e in cui le previsioni per l’occupazione l’anno prossimo sono +0,1 per cento (cioè circa 20 mila posti), 800 mila posti di lavoro saranno per la maggior parte delle trasformazioni da contratti a tempo determinato a contratti a tempo indeterminato o dei contratti che altrimenti sarebbero stati forme contrattuali flessibili di ogni tipo o lavoro autonomo ma non contratti a tempo indeterminato.
Meglio essere chiari fin da subito sull’obiettivo, per evitare che l’anno prossimo abbia ragione chi dice che il Jobs Act non ha creato un solo posto di lavoro: ne creerà quei 20 mila previsti dall’Istat ma avrà rivoluzionato il modo in cui gli imprenditori pensano ai contratti a tempo indeterminato.
Se avrà successo, il Jobs Act scardinerà la percezione che il contratto a tempo indeterminato è costoso sul piano monetario e rischioso sul piano dell’impossibilità di licenziare un dipendente anche in caso di difficoltà economiche dell’azienda. 
Un contratto a tempo indeterminato, anche se non più protetto dalla tutela reale dell’articolo 18, non è la stessa cosa di un contratto a termine.
In un contratto a termine non c’è bisogno di licenziamento, il contratto semplicemente scade e non viene rinnovato; nel contratto a tempo indeterminato il licenziamento deve comunque essere motivato e può essere comunque impugnato. 
Incentivare i contratti a tempo indeterminato non è operazione da poco: solo nel contratto a tempo indeterminato è possibile l’investimento del lavoratore nella sua azienda e dell’azienda nel lavoratore. La produttività sarà maggiore, piuttosto bisognerà pensare a come incentivare la mobilità del lavoro dai vecchi contratti tutelati dall’articolo 18 a quelli nuovi meno tutelati ma per questo probabilmente meglio retribuiti.
Chi crede che sull’articolo 18 si consumi la battaglia più difficile si sbaglia: la riforma degli ammortizzatori e quella dei centri per l’impiego sconvolge due certezze culturali altrettanto granitiche: la prima è la cassa integrazione; la seconda è la cultura del posto fisso

A differenza che sull’articolo 18 per cui la decisione alla fine deve essere netta (reintegro sì o reintegro no), le riforme della cassa integrazione e dei centri dell’impiego sono meno visibili e le scelte da prendere meno nette. Proprio per questo si rischia di finire nei compromessi peggiori. 

La cassa integrazione è stata fondamentale per arginare la crisi di molte aziende. Serve in misura uguale alle aziende, che risolvono con l’aiuto pubblico le crisi occupazionali, e ai lavoratori che hanno sussidi spesso assai lunghi.
La cassa integrazione è stata spesso concessa “in deroga” cioè a imprese che non avevano pagato i contributi, e per durate così lunghe che invece di aiutare i lavoratori a sostenersi durante un periodo temporaneo di difficoltà delle aziende, li ha convinti di aver diritto ad un posto di lavoro che ormai non c’era più. La spesa per la cassa integrazione andrà ridotta e spostata sui sussidi di disoccupazione, che non implicano il mantenimento (virtuale) del posto di lavoro ma richiedono (almeno in principio) la volontà di ricollocamento del lavoratore. Sarà difficile convincere lavoratori e imprese nonché il Parlamento che servono durate certe per la cassa integrazione e la contribuzione di tutte le imprese sopra i 15 dipendenti.

I centri per l’impiego andranno riformati superando le resistenze culturali di un paese in cui l’articolo 18 non solo ti proteggeva nel posto di lavoro ma spesso ti portava fino alla pensione. 
L’Italia non ha mai avuto la cultura della ricollocazione dei lavoratori, anche per questo i centri dell’impiego non hanno al loro interno le competenze e le professionalità per dare un servizio efficiente.
A questo punto le scelte obbligate sono due: la collaborazione con le agenzie del lavoro private in quanto il servizio pubblico non ha né il personale né le risorse necessarie; la centralizzazione per garantire un livello minimo di servizio ed avere la possibilità di imporre standard di pagamento a risultato (lo Stato paga le agenzie solo quando il lavoratore è stato ricollocato). 
Entrambe le direttrici di scelta dovranno superare diversi ostacoli, in primis il Titolo V della Costituzione che assegna alle regioni la competenza per le politiche attive.

In ultimo dopo aver riformato le regole su assunzioni e licenziamenti, gli ammortizzatori sociali e i centri per l’impiego, per avere qualche speranza di aumentare davvero i posti di lavoro bisognerà in qualche modo metter mano anche ai salari. Di solito è il tema delle parti sociali e non del governo. Dopo venti anni di attesa nel gennaio del 2014 sindacati e Confindustria hanno siglato un accordo sulla rappresentanza e contrattazione nei luoghi di lavoro. Da gennaio l’accordo è inattuato e di questo passo potremmo attendere i prossimi venti anni per la sua applicazione.

È necessaria una legge che determini il numero massimo dei rappresentanti in azienda, chi può essere eletto rappresentante, i rappresentanti eletti che cosa possono decidere e infine le sanzioni per chi non rispetta gli accordi votati a maggioranza. Da questo punto di vista il clima di contrapposizione tra governo e sindacati renderà difficile determinare per legge le regole di rappresentanza sui posti di lavoro anche per quelle imprese che non riconoscono gli accordi di gennaio.
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Bibliografia:

Testo definitivo approvato in Senato: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00814374.pdf

Marco Leonardi, Europa, http://www.europaquotidiano.it/2014/12/01/jobs-act-tre-punti-per-rivoluzionare-il-mondo-del-lavoro-delloccupazione/