Tutte le donne di Prassagora

Tutte le donne di Prassagora
Pride and Prejudice, Jane Austen

mercoledì 26 novembre 2014

Utero in affitto, il no della Cassazione alla maternità surrogata




Cassazione civile Sentenza, Sez. I, 11/11/2014, n. 24001

Il caso
Una coppia di coniugi italiani ottiene in Ucraina  l’atto di nascita di un figlio, che si assume essere stato concepito tramite il ricorso alla maternità surrogata. Nella pendenza di un procedimento penale per il contestato reato di alterazione di stato,  sospettandosi la non veridicità della dichiarazione di nascita, la  Procura minorile chiede dichiararsi lo stato di abbandono del bimbo.

La decisione della Corte di Cassazione
Il Tribunale per i minorenni, con sentenza confermata in sede di gravame, dichiara lo stato di abbandono del bambino, collocato nel frattempo presso una coppia fra quelle dichiarate idonee all’adozione nazionale, essendo emerso nel corso nel giudizio che il bambino, sotto l’aspetto genetico, non era figlio di coloro che formalmente ne risultavano genitori. La Corte di Cassazione conferma a sua volta la decisione impugnata, sviluppando diverse considerazioni in ordine alla pratica della maternità per surrogazione.



La maternità surrogata in Italia e all’estero

La decisione stimola alcune riflessioni. Come è noto, l’art. 12 comma sesto della l. 40/2004 sanziona penalmente chiunque realizza “in qualsiasi forma” la surrogazione di maternità, ossia ricorre a tecniche di riproduzione con le quali una donna porta a termine una gravidanza per conto di un’altra (e dunque accetta l’inserimento in utero di un embrione formato in vitro con un proprio ovocita, ovvero di altra donna), cui consegnerà il nato, in modo che risulti figlio della committente.  


Si tratta, in buona sostanza, di quello che viene chiamato, in maniera del tutto atecnica, “utero in affitto”. Il divieto della surrogazione di maternità, nel nostro ordinamento, si ricollega al disposto dell’art. 263 comma terzo c.c. (rimasto inalterato anche dopo la recente riforma sulla filiazione), in base al quale madre è colei che partorisce. Non è dunque possibile l’attribuzione della maternità a donna differente da colei cha ha partorito, e ciò pure nell’ipotesi in cui il nato non sia geneticamente figlio della medesima: d’obbligo richiamare quanto deciso, in sede cautelare, da una recente ordinanza  molto nota, resa nella dolorosa vicenda dello scambio di embrioni tra due coppie, che si erano entrambe risolte ad un’inseminazione artificiale di tipo omologo. 


Il divieto di surrogazione di maternità è rimasto inalterato, pur a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 2014: la Consulta infatti ha dichiarato illegittimo il solo divieto di fecondazione eterologa, di cui all’art. 4 comma terzo l. 40/2004, rendendo così possibile, anche in Italia, alla donna sterile di avere una gravidanza tramite donazione di ovocita di altra donna, fecondato con lo spermatozoo del proprio marito o partner. In questo caso, nell’atto di nascita verrà correttamente indicata come madre colei  che ha partorito, pur in difetto di un qualsiasi legame di tipo genetico con il nato.

Alcuni Paesi, contrariamente all’Italia, ammettono invece la surrogazione di maternità (basti pensare all’Ucraina, cui si fa riferimento nella sentenza in esame, all’India, ma pure al Regno Unito), disciplinando in modo preciso il contenuto dell’accordo negoziale, in forza del quale viene eseguito l’intervento, con  conseguenziale formazione dell’atto di nascita, in favore della madre committente.
Il riconoscimento in Italia di atti di nascita per maternità surrogata all’estero


In questi ultimi anni diverse coppie italiane si sono rivolte all’estero per avere un figlio tramite la tecnica della surrogazione di maternità. I problemi sono sorti, al momento del rientro in Italia, quando è stata richiesta la trascrizione dell’atto  di nascita formato in quei Paesi. 

Sotto il profilo strettamente penale, si è per lo più correttamente esclusa la ricorrenza della fattispecie dell’alterazione di stato, essendo l’atto di nascita regolarmente formato all’estero, secondo la legge locale; talune pronunce hanno semmai ravvisato gli estremi del più lieve reato della falsa dichiarazione all’ufficiale dello stato civile,  mentre altre hanno escluso la rilevanza penale della condotta.


Dal punto di vista più strettamente civilistico, si sono prospettate varie possibili situazioni: in primis, richiedere la nomina di curatore speciale al minore, perché esercitasse l’azione di contestazione, ovvero l’impugnazione del riconoscimento (qualora la madre committente non fosse stata sposata). 


Vero è però che lo status di figlio della madre committente è stato acquisito legittimamente all’estero, in forza di una tecnica che di per sé presuppone l'insussistenza di un legame genetico; come è noto l’art. 18 del dpr 396/2000 esclude che gli atti formati all’estero possano essere trascritti in Italia se contrari all’ordine pubblico. Se anche, come osserva la Cassazione, il divieto di dar corso a tecniche di maternità surrogata appartiene all’ordine pubblico, esso peraltro dovrebbe ritenersi operativo solo in relazione a condotte tenute nello Stato italiano penalmente perseguibili.  

Altrettanto non pare possa dirsi per gli atti formati all’estero, in conformità alla legislazione locale (cfr. al riguardo Trib. Napoli 1° luglio 2011, in Corr. merito 2012,!,13). Del resto, l’esercizio dell’azione di status sarebbe poco appagante, là dove non sia contestato che il figlio, proprio in quanto nato da surrogazione di maternità, non appartiene biologicamente alla madre sociale. In altre occasioni, sono stati pure aperti procedimenti de potestate ex art. 333 c.c., ma anche ex art. 8 ss l. 184/1983, per la declaratoria dello stato di adottabilità,  talora definitisi con un provvedimento di non luogo a provvedere,  attesa l’indubbia capacità genitoriale della coppia, pur a fronte di una nascita in modo differente dall’usuale (cfr. ad es. Trib. min. Milano 1° agosto 2012 e 6 settembre 2012, entrambi in Nuova giur. civ. 2013,I,712).   

Anche nel caso di specie si è aperto un procedimento, volto alla declaratoria di stato di adottabilità del bambino. La peculiarità della fattispecie osta peraltro alla formulazione di regole generali (ed in questo senso la decisione annotata suscita qualche perplessità). Risulta infatti che la coppia (relativamente avanti negli anni),  che si era risolta in Ucraina alla surrogazione di maternità, avesse visto già respinta per ben tre volte una domanda di adozione “per grosse difficoltà nell’elaborazione di una sana genitorialità adottiva”; per di più non solo la moglie, ma nemmeno il marito era legato da un rapporto genetico con il figlio, come confermato da una consulenza tecnica, licenziata nel corso del procedimento.


La decisione in commento

Come già anticipato, la surrogazione di maternità (che il nostro legislatore vieta) può essere effettuata, utilizzando un ovocita della futura gestante, ma anche di una donna terza: in questo secondo caso, può prospettarsi, sotto il profilo fenomenologico, la contemporanea configurabilità di tre “madri”: quella committente (o sociale), quella genetica e quella portante. 
Nella specie, a quanto risulta dalla sentenza in esame, sarebbe stata violata la stessa legge ucraina (ossia la legge del luogo, ove era nato il bambino ed era stato formato l’atto di nascita quale figlio della coppia committente). 
Detta legge, rileva la Suprema Corte, richiede infatti che il 50% del patrimonio genetico del nato sia riferibile a coloro che, nell’atto di nascita sono indicati come genitori. Come anticipato, nemmeno il marito della madre committente era però padre del bimbo, il cui status non corrisponde affatto a quello indicato nell’atto di nascita, in relazione ad entrambe le figure genitoriali (e ciò a prescindere dagli esiti del procedimento penale pendente per il reato di alterazione di stato). 
Dunque, proprio in relazione al caso specifico, può giustificarsi l’affermazione della sentenza in esame per la quale l’ordinamento italiano affida all’istituto dell’adozione “realizzata con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale piuttosto che all’accordo delle parti, la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico”.

Le medesime affermazioni non paiono invece poter essere estese alle nascite a seguito di maternità surrogata, in forza di accordi validi ed efficaci, secondo la legge del luogo ove si è formato l’atto di nascita. L’assolutezza del principio affermato dalla Suprema Corte (per cui “il divieto di pratiche di surrogazione di maternità è certamente di ordine pubblico, come suggerisce già la previsione della sanzione penale, di regola posta appunto a presidio di beni giuridici fondamentali”, quali, “la dignità umana –costituzionalmente tutelata della gestante e l’istituto dell’adozione”) non pare possa ostare al riconoscimento dello status filiationis, acquisito legittimamente all’estero, certamente in quelle situazioni in un figlio sia geneticamente del marito (o del partner) della donna committente. 

 A fortiori, quando uno dei componenti la coppia genitoriale sia biologicamente legato al figlio, non potrebbe di per sé configurarsi stato di abbandono, quando il minore goda di un ambiente familiare idoneo alla sua crescita nel nucleo del padre e della moglie (o compagna) che abbia condiviso il progetto di genitorialità tramite la  maternità per surrogazione.

Del resto, la stessa Corte EDU, con due recenti decisioni, emesse il 26 giugno 2014 nei confronti della Francia aveva condannato lo Stato transalpino al risarcimento patito dai figli di due coppie francesi coniugate, nati in America con il ricorso alla maternità surrogata, i cui atti nascita non erano stati trascritti, stante la nullità, in quell’ordinamento, dei contratti relativi a detto tipo di maternità (e ciò pur essendo indubbia la paternità biologica del marito della madre committente). 

Osserva correttamente la Cassazione, che la CEDU ha rilevato come debba essere lasciato agli Stati un ampio margine di appezzamento nel prendere decisioni in ordine alla maternità surrogata, in considerazione delle complesse questioni etiche sottese alla materia, tenuto pure conto della mancanza di una legislazione omogenea in Europa. La Corte ha  nel contempo evidenziato la necessità di tener adeguato conto la tutela del diritto alla vita privata e familiare dei figli minori, configurandosi nella specie, violazione dell’art. 8 CEDU.

L'ordinamento italiano, per il quale madre è colei che partorisce (art. 269 comma terzo c.c.) contiene, all'art. 12 comma sesto della l. 40/2004, un espresso divieto della surrogazione di maternità, ossia della pratica per cui una donna si presta ad avere una gravidanza e a partorire un figlio per un'altra donna. 
Il divieto, la cui violazione è penalmente sanzionata, è ispirato al rispetto dell'ordine pubblico, venendo in rilievo la dignità umana della gestante e l'istituto dell'adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto.


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Bibliografia:



Alberto Figone, Il Quotidiano Giuridico, http://www.quotidianogiuridico.it

Gazzetta Ufficiale, Cassazione civile Sentenza, Sez. I, 11/11/2014, n. 24001

 

martedì 25 novembre 2014

No more plastic bag pollution in Europe!





 
La vita in mezzo alla plastica non è così fantastica, dopo tutto.  
I Sacchetti di plastica sono stati accusati di inquinare l'ambiente, gli ecosistemi acquatici in particolare. Oggi la Commissione Ambiente vota su proposta negoziata dal Parlamento e dal Consiglio per ridurre l'uso dei sacchetti di plastica più comuni e più inquinanti

Secondo le nuove regole gli Stati membri potrebbero vietare i sacchetti di plastica gratuiti per i clienti entro il 2018 oppure garantire che il consumo medio di essi non superi i 90 in un anno a persona entro il 2019.

La portata del problema
Nel 2010 sono state utilizzate 200 borse a persona per tutti coloro che vivevano in Europa, secondo una stima da parte del Servizio europeo di ricerca parlamentare.

Nuova legislazione
Secondo la proposta che sta per essere votata dalla commissione ambiente, gli Stati membri potrebbero scegliere di vietare i sacchetti di plastica gratuiti per i clienti entro il 2018, oppure adottare misure per garantire che il consumo medio di queste borse scenda a 90 in un anno per ogni persona entro il 2019 e a 40 entro il 2025.


Tratto da articolo pubblicato dal sito del parlamento Europeo http://www.europarl.europa.eu/news/en/news-room/content/20141120STO79704/html/No-more-plastic-bags-polluting-our-environment

venerdì 21 novembre 2014

Regime dei minimi 2015






Giungono importanti novità in merito al Regime dei Minimi 2015 per i possessori di Partite IVA: il Sottosegretario Zanetti ha infatti presentato uno specifico emendamento alla Legge di Stabilità chiedendo che il regime impositivo transiti dall’attuale 5 all’8%
 Zanetti vorrebbe in particolare venisse modificata la norma contenuta nella stessa Legge di Stabilità in base alla quale il nuovo Regime dei Minimi 2015 per i possessori di Partite IVA transiterà dal 5 al 15%, previsione che ha fatto andare su tutte le furie i diretti interessati anche e soprattutto per via del fatto che Renzi in persona aveva promesso una Legge di Stabilità ‘senza un euro di tasse in più per i cittadini’. 
Tra questi continuano a essere esclusi i possessori di Partite IVA, già colpiti nel recente passato dalla promessa, ovviamente non mantenuta, di vedersi esteso il famoso bonus IRPEF da 80 euro
Prima di addentrarsi nel Regime dei Minimi 2015 per i possessori di Partite IVA ipotizzato da Zanetti è bene riallacciare le fila del discorso cercando di capire che cosa preveda la norma ‘gemella’ contenuta in Legge di Stabilità.

La Legge di Stabilità interviene sul Regime dei Minimi 2015 valido per i possessori di Partite IVA prevedendo un inasprimento della tassazione, che passerebbe dal 5 al 15%, e una diversificazione dei meccanismi di accesso a seconda delle categorie di appartenenza: per poter fruire del Regime dei Minimi 2015 i possessori di Partite IVA qualificati come professionisti dovranno in particolare mantenersi entro i 15mila euro l’anno, mentre artigiani e commercianti potranno fatturare sino ad un massimo di 40mila euro. 

Il nuovo Regime dei Minimi 2015 per i possessori di Partite IVA, lo ricordiamo, non verrà comunque applicato a chi è già inquadrato con l’attuale regime – che prevede un massimo di ricavi quantificato in 30mila euro e un regime impositivo fisso a quota 5% -, con la conseguenza che i diretti interessati potranno continuare a fruire dell’attuale configurazione sino ai 35 anni di età o sino alla scadenza dei 5 anni dall’avvenuta apertura della partita IVA a condizioni agevolate. 

Il nuovo Regime dei Minimi 2015 per i possessori di Partite IVA 

Con l'emendamento ipotizzato dal Sottosegretario Zanetti prevede uno sgravio dell’incremento fiscale che passerebbe dal 15% ipotizzato in Legge di Stabilità ad un più contenuto dell'8%. L’emendamento prevede inoltre un imponibile assoggettabile a tassazione ricompreso tra i 26 e i 30mila euro e il venir meno del limite dei 5 anni per poter fruire del regime agevolato, che se strutturato con queste caratteristiche risulterebbe utilizzabile in modalità continuativa senza limiti temporali

Regime dei Minimi 2015 per possessori di partite IVA: ma il regime ordinario conviene di più?

Il nuovo Regime dei Minimi 2015 per i possessori di partite Iva configurato in Legge di Stabilità continua a detenere una strutturazione tale che lo renda più conveniente di quello ordinario? Bhè, per qualcuno no. 
Prendiamo il caso di un lavoratore autonomo, un libero professionista che guadagni meno di 15mila euro e che risulti dunque con le carte in regola per fruire del nuovo Regime dei Minimi 2015 specifico per i possessori di partite Iva. 
Il vecchio regime converrebbe certamente di più dato che prevede una detrazione d’imposta per lavoro autonomo pari a 952 euro con un’incidenza fiscale complessiva pari al 13,6% in luogo del 15% previsto dal nuovo Regime dei Minimi 2015. 
Discorso diverso per chi detiene un reddito da seconda attività: in tal caso infatti, il reddito percepito verrebbe tassato comunque al 15% senza che vengano prese in esame le altre fonti reddituali, ecco che una simile aliquota risulterebbe comunque molto più conveniente di un eventuale assoggettamento al regime IRPEF che entrerebbe in gioco nel caso di redditi superiori ai 15mila euro (e dunque al di fuori del nuovo Regime dei Minimi 2015). 

Esempi più concreti circa la maggiore o minore convenienza ad aprire partita Iva col nuovo Regime dei Minimi 2015 ci vengono da Il Sole 24 Ore, che ha analizzato la situazione impositiva di alcuni soggetti tipo assunti come campione: se un giovane architetto con il vecchio regime aveva a che fare con un carico fiscale di 1120,10 euro, con il nuovo Regime dei Minimi 2015 dovrà far fronte a 1463,29 euro di imposte; discorso simile per un artigiano ex dipendente, che nel passaggio dal vecchio al nuovo Regime dei Minimi 2015 transiterebbe da 4045,40 a 4311,66 euro. 
A prescindere da cosa accadrà, chi ha già aperto partita Iva con l’attuale regime potrà continuare a sfruttarne l’impostazione sino ai 5 anni dall’avvenuta apertura o fino al compimento dei 35 anni di età, per chi invece sta valutando sul da farsi il consiglio è quello di ponderare bene o al limite di affrettarsi per tentare di aprire partita Iva con l’attuale Regime dei Minimi e dunque entro la fine dell’anno. A questo punto non resta che attendere l’esito dell’emendamento Zanetti, se desiderate rimanere aggiornati cliccate il tasto ‘Segui’ poco sotto il titolo del pezzo.

Certo la questione connessa alla configurazione del nuovo Regime dei Minimi 2015 per i possessori di Partite IVA si carica di particolari significati, specie perché vengono ad essere coinvolti numerosi giovani lavoratori che hanno tentato la via della Partita IVA anche per via del regime agevolato; sorprende la natura stessa della manovra dato che Renzi ha da sempre dichiarato come tra gli obiettivi del suo governo vi sia la lotta alla disoccupazione giovanile, da scandirsi con  una serie di misure che agevolino per l’appunto le giovani generazioni. 
Un inasprimento della tassazione per i possessori di Partite IVA con Regime dei Minimi 2015 non va certo in questa direzione; l’emendamento di Zanetti è al momento al vaglio delle due Aule, non rimane che attenderne gli sviluppi.




Bibliografia

Massimo Calamunerihttp://it.blastingnews.com/lavoro/2014/11/partite-iva-regime-dei-minimi-2015-aliquote-norme-e-confronto-col-regime-ordinario-00176511.html

IVA ebook diminuita dal 22% al 4%? No, l'Europa non lo permette






Approvato l'emendamento presentato da Dario Franceschini relativo alla diminuzione dell'IVA sugli Ebook, dal 22% al 4%.

Dopo la campagna di sensibilizzazione #unlibroèunlibro il Ministro Franceschini si era preso l'impegno di presentare in Commissione l'emendamento.
Come promesso ha mantenuto l'impegno preso via tweet.

Questa è un'ottima notizia per i lettori e la cultura, in quanto permetterà una maggiore diffusione del libro elettronico, diffusione che finora era stata contenuta proprio a causa dei prezzi, ancora troppo alti rispetto al formato cartaceo. Speriamo che questa novità possa dare una svolta al mercato degli Ebook.

La lettura apre la mente ed è la strada che porta a una società più giusta ed equa.
Esprimiamo a Dario Franceschini, Ministro della Cultura il nostro plauso per questa importante iniziativa.
Il cambiamento arriva anche dalle piccole cose.

ERRATA CORRIGE:

A causa dell'incompatibilità dell'emendamento con la legislazione europea, l'IVA rimane al 22%.
Della serie: tanto rumore per nulla?
Al grido di #unlibroèunlibro, il ministro per i Beni e le attività culturali e il Turismo Dario Franceschini aveva annunciato l'approvazione da parte della Commissione bilancio dell'emendamento per portare l'IVA sugli eBook al 4 per cento.

La modifica alla Legge di Stabilità fortemente voluta da Palazzo Chigi prevede anche la copertura del mancato gettito generato, calcolato in 7,2 milioni di euro l'anno: saranno recuperati dal fondo per gli interventi strutturali di poltica economica.

Nonostante la soddisfazione espressa dall'Associazione Italiana Editori, la mossa del Governo italiano, in realtà, potrebbe essere solo simbolica se non addirittura dannosa: se non cambia l'impostazione europea l'Italia rischierà una procedura per infrazione ed una multa da parte di Bruxelles.

Bruxelles sembra destinata a bocciare le mediazioni guidate da Italia e Francia che stanno cercando di portare avanti le istanze favorevoli all'abbassamento dell'IVA degli ebook fino a livello di quella prevista per i libri cartacei.

Il problema è che gli ebook sono equiparati ai dispositivi elettronici e agli altri beni digitali e per questo hanno una tassazione superiore (al momento in Italia 22 per cento, contro il 4 per cento di cui godranno quelli cartacei dal prossimo gennaio): una tassazione differente costituirebbe - secondo Bruxelles - un aiuto statale illecito al settore.

Il Presidente dell'Associazione Italiana Editori (AIE) Marco Polillo, in ogni caso, ha continuato a professare ottimismo nella battaglia per l'abbassamento dell'IVA sugli ebook al livello di quella sui libri cartacei: "Andiamo avanti, siamo certi e fiduciosi dell'impegno del ministro Franceschini e dell'Italia in sede europea per la battaglia contro la discriminazione dell'IVA degli ebook rispetto a quella dei libri di carta". Polillo per far valere le sue ragioni ha lanciato la campagna #unlibroéunlibro confidando nel fatto che "che il Parlamento italiano possa trovare una soluzione per la cultura del nostro paese": d'altronde, spiega ancora, si tratta di una "campagna di buonsenso contro gli egoismi nazionali e contro una visione dell'Europa assolutamente burocratica".

La UE, già nel 2012 è intervenuta sulla tassazione dei libri digitali multando Francia e Lussemburgo che l'avevano abbassata rispettivamente al 7 e al 3 per cento ed obbligandole a riallinearla a quella degli altri paesi (15 per cento) e per il momento sembra aver bocciato tutti i tentativi di mediazione in materia portati avanti da Italia e Francia.

Per Bruxelles il problema rimane ideologico: gli ebook sono equiparati ai beni e servizi digitali e per questo hanno una tassazione superiore (al momento in Italia 22 per cento) ed una tassazione differente costituirebbe dunque un aiuto statale illecito al settore.

D'altra parte, come osserva Stefano Quintarelli, alla tassazione è legato anche un problema di interpretazione: quando acquistano un ebook gli utenti si ritrovano in realtà con una licenza d'uso (un servizio per definizione) e non un prodotto che possono liberamente gestire in piena autonomia. Quindi con l'Iva dovrebbe cambiare anche la gestione di questo tipo di beni. Ulteriore problema è poi quello della transnazionalità dei negozi digitali che li vendongo: Amazon ha sede in Lussemburgo, Apple e Kobo ancora altrove, e mentre ora l'Iva è calcolata in base alla nazione dove il libro viene vendut dal 2015 sarà calcolata in base al Paese dell'acquirente.

D'altronde, per quanto al momento il Parlamento italiano sembri allineato sulla volontà di abbassare l'IVA sugli ebook, senza un cambio di rotta continentale ogni cambiamento è impossibile: la UE, d'altra parte, già nel 2012 è intervenuta sulla tassazione dei libri digitali multando Francia e Lussemburgo che l'avevano abbassata rispettivamente al 7% e al 3% ed obbligandole a riallinearla a quella degli altri paesi (15%).

Bibliografia:

Claudio Tamburrino, Punto Informatico, http://punto-informatico.it/4191666/PI/News/ebook-un-pugno-iva.aspx; http://punto-informatico.it/4187896/PI/News/iva-e-book-speranze-deluse-dall-europa.aspx;
Raffaella Natale, http://www.key4biz.it/ebook-iva-4-commissione-bilancio-approva-lemendamento/;
Marco Zatterin,  La Stampa, http://www.lastampa.it/2014/11/17/economia/gli-ebook-come-i-videogame-lue-boccia-liva-agevolata-cmJf56trr3OxZaH077YD7K/pagina.html;
Antonello Salerno, Corriere Comunicazioni, http://www.corrierecomunicazioni.it/it-world/30863_e-book-appello-bipartisan-iva-al-4-con-la-legge-di-stabilita.htm.

giovedì 20 novembre 2014

IVA al 4% anche per gli ebook: la promessa via tweet di Dario Franceschini




IVA al 4% anche per gli ebook, perché un libro è un libro qualunque sia il suo supporto o la sua forma. 

E se questa battaglia è in auge ormai da tempo, in queste ore sta vivendo il suo momento più importante: la pubblica dichiarazione su Twitter di Dario Franceschini, ministro della Cultura, spezza infatti una lancia nei confronti dell’iniziativa e ne concretizza gli intenti trasformando un hashtag in un emendamento.

Da Twitter al Palazzo, insomma, per mano del ministro: la battaglia lanciata dall’Associazione Italiana Editori ha trovato l’appoggio che mancava ed ora può guardare con maggior fiducia a quella che è sì una guerra di odore economico, ma che si fa forza anche di un saldo principio di equità. 

La disuguaglianza di trattamento tra libri cartacei e libri digitali, infatti, è un tappo alle possibilità dell’innovazione nel settore, svilendo gli investimenti degli editori e bloccando la crescita laddove invece cultura e impresa avrebbero bisogno di un incentivo.
 Poi il tweet che cambia tutto: «Ho appena presentato emendamento del Governo per portare IVA Ebook al 4% Una battaglia giusta». 

Immediato il plauso dell’AIE: l’associazione ha raggiunto l’obiettivo minimo di porre il problema all’attenzione della politica, ma ora dovrà perseverare nel proprio sforzo per raggiungere la concretizzazione definitiva del taglio sull’imposta sul valore aggiunto. Le dichiarazioni AIE giungono a firma del presidente Marco Polillo:
Apprendiamo che il Ministro Franceschini ha presentato un emendamento alla legge di stabilità per equiparare l’Iva degli ebook a quella dei libri cartacei. Desidero esprimere come Presidente dell’AIE e a nome di tutti gli editori, gli autori e i sostenitori della campagna #unlibroèunlibro i nostri più sentiti ringraziamenti al Ministro Franceschini, al Presidente Renzi e a tutto il Governo per aver accolto la forte istanza proveniente da tutto il mondo del libro e aver deciso di voltare pagina rispetto ad una discriminazione senza senso. Siamo molto fiduciosi che si possa arrivare a una rapida e condivisa approvazione dell’emendamento in considerazione dell’impegno profuso in queste fasi da parlamentari di maggioranza e di opposizione tra i quali gli on. Piccoli Nardelli, Causi, Palmieri, Giordano, Caparini e Librandi che nei giorni scorsi avevano già presentato emendamenti in tal senso. Anche a loro va tutta la nostra gratitudine.
La bontà della battaglia intrapresa è tutta nella parola “equiparazione”: l’AIE non sta chiedendo trattamenti speciali per gli ebook ma, piuttosto, una semplice equiparazione di fronte al fisco dei libri digitali rispetto a quelli cartacei. E il motivo è tutto nel nome dell’iniziativa: un libro è un libro, come dice l’hashtag, come dicono centinaia di utenti che ne hanno condivisi i principi e come dice ora anche il ministro della Cultura.
Già alla Fiera internazionale del libro di Francoforte, il ministro aveva detto: «Trovo giusto e condivido pienamente lo slogan dell’iniziativa». E giovedì aveva ribadito in una nota: «Un libro è un libro indipendentemente dal suo formato, solo un incomprensibile meccanismo burocratico può consentire un regime fiscale discriminatorio per gli ebook (Iva al 22% contro il 4% del libro cartaceo, ndr)».
Più in dettaglio, precisano dal Mibact, quello di Franceschini è un emendamento all’articolo 17 della legge di stabilità 2015 e «prevede, ai fini della imposta sul valore aggiunto, di considerare libri tutte le pubblicazioni identificate da codice Isbn e veicolate attraverso qualsiasi supporto fisico o tramite mezzi di comunicazione elettronica». L’Iva sugli ebook – prosegue il Mibact – viene in questo modo «abbassata al 4% ed equiparata a quella prevista per i libri cartacei, superando così un regime fiscale discriminatorio sulla lettura».  Le risorse del mancato gettito, pari a 7,2 milioni di euro l’anno, saranno coperte dal fondo per interventi strutturali di politica economica.
I problemi, però, restano in Europa, dove solo la Francia condivide la linea italiana e se ne è fatta a sua volta portavoce (Parigi ha abbassato unilateralmente l’Iva al 7%, rischiando la condanna della Corte). Tra i Paesi favorevoli, Olanda, Grecia, Slovenia e Lussemburgo. Ma non basta. E sono quasi nulle le speranze che il  Consiglio dei ministri europei della Cultura del 25 novembre possa arrivare alla posizione unanime sull’equiparazione dell’Iva sugli ebook a quella sui libri cartacei.


Credits:


Giacomo Dotta, http://www.webnews.it/2014/11/19/franceschini-iva-ebook
articolo tratto dal sito www.europaquotidiano.it
Alessia Rastelli, Corriere della Sera http://ehibook.corriere.it/2014/11/20/iva-sugli-ebook-franceschini-presenta-emendamento-per-abbassarla-al-4/

mercoledì 19 novembre 2014

Abolizione esenzione Imu per i terreni: stangata per duemila comuni con lo Sblocca-Italia






L'esenzione IMU totale per i terreni è destinata a rimanere solo in 1.578 Comuni, invece dei 3.524 attuali: altri 2.568 saranno invece caratterizzati da un'esenzione parziale, limitata ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali.
Il cambio di regole sta per essere pubblicato e si applica già dal 2014, per cui i proprietari dovranno pagare entro il 16 dicembre l'imposta di tutto l'anno.

L'impatto dello Sblocca – Italia su edilizia e infrastrutture. Meno vincoli per le ristrutturazioni, i recuperi e le opere urgenti

Semplificare le procedure e spingere l'acceleratore su attività edilizia e infrastrutture sono gli obiettivi che ispirano il Dl Sbocca-Italia.
Con lo Sblocca-Italia si allarga il raggio di azione dell'edilizia libera, gli interventi cioè di manutenzione e piccola trasformazione realizzabili con semplice comunicazione di inizio attività (Cil) asseverata da un progettista.
Frazionamenti e accorpamenti diventano liberi e gratuiti purché non alterino i volumi, così come le opere di manutenzione straordinaria. Per dare fiato al mercato immobiliare, il decreto introduce sconti Irpef per chi acquista immobili da destinare all'affitto a canone concordato.

Accelerazione anche in caso di appalti per cui sono previste deroghe al Codice: per un ampio ventaglio di opere urgenti: sicurezza delle scuole, dissesto idrogeologico, rischio sismico, tutela del patrimonio ambientale e culturale. Gli affidamenti dei lavori di queste tipologie potranno avvenire senza gara fino a 5,2 milioni. Commissariamenti e risorse per 3,9 miliardi di euro puntano invece a sbloccare le infrastrutture.

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Bibliografia
Il Sole 24 Ore, http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-11-18/addio-esenzione-sole-24-ore-stangata-imu-2mila-comuni-204946.shtml

giovedì 13 novembre 2014

Alternative all'acquisto di un immobile: il Rent to buy e le novità dello "Sblocca Italia"



Esistono sul mercato diverse formule contrattuali che semplificano l’acquisto di un immobile in alternativa all’accensione di un mutuo (oggi è una chimera per molti Italiani vista la crisi e la stretta sui finanziamenti bancari): facciamo dunque chiarezza tra le diverse soluzioni che spesso – complice un sovrapporsi di inglesismi – tendono a confondersi l’un l’altra pur avendo caratteristiche contrattuali differenti.

1. Nel Rent to Buy il venditore affitta l’immobile all’acquirente e congela il prezzo fino a quando sarà in grado di accedere ad un finanziamento bancario. In pratica si resta affittuari finché non si riesce ad ottenere un mutuo per comprare l’immobile locato. La formula del Rent to Buy – diversamente dall’affitto con riscatto – non va quindi a sostituirsi al sistema bancario per finanziare l’acquisto di un immobile, ma aiuta il potenziale acquirente ad ottenere i requisiti per rientrare nei parametri che oggi vengono chiesti dalle Banche prima di concedere un mutuo. il Rent to Buy è caratterizzato da un’estrema flessibilità e dalla garanzia di adeguati paracadute e ammortizzatori:
  • è basato su contratti regolamentati e trascritti dal Notaio, con garanzie a entrambe le parti;
  • si può cedere a terzi per recuperare le somme accantonate.
 2. L’Affitto con riscatto è una particolare formula di acquisto che in tempo di crisi potrebbe rivelarsi una valida soluzione per portare a termine una compra-vendita. Si tratta di una vecchia forma contrattuale pensata per le fasce di reddito meno abbienti per incentivare la vendita di immobili prima casa (il c.d. Piano Casa Fanfani). L’Affitto con riscatto consente infatti di riscattare i canoni di locazione versati durante un certo periodo di tempo (equiparabile a quelli di ammortamento di un mutuo), dopo il quale la proprietà viene trasferita all’affittuario. In pratica, il venditore finanzia l’acquirente concedendogli di pagare a rate l’immobile Una soluzione che sembra rispondere all’attuale crisi del mercato immobiliare, affossato dall’IMU che ha ulteriormente aggravato uno stallo delle compra-vendite generato dalla crisi economica globale.
 Nel panorama contrattuale esiste tutta una serie di soluzioni intermedie tra Affitto con riscatto e Rent to Buy, anche se nessuna di queste tutela al 100% ambo le parti:
  • contratto di vendita con patto di riservato dominio;
  • preliminare di compravendita ad effetti anticipati;
  • contratto di locazione con patto di futura vendita;
  • contratto di locazione con opzione di acquisto.
Per le prime tre (le meno diffuse) i rischi sono legati ad una eccessiva rigidità esponendo l’acquirente a perdere quanto versato. L’ultima è ampiamente diffusa ma anch’essa nasconde insidie: l’acquirente deve porre particolare attenzione al modo in cui l’affitto pagato viene convertito in acconto sul prezzo di vendita, non ha tutele contro il fallimento dell’impresa che vende né contro eventuali pignoramenti, mentre il venditore non ha garanzia di un impegno all’acquisto. Bisogna infine ricordato che l’utilizzo di un contratto atipico, non previsto dal Codice Civile, espone sia al rischio di essere impugnato che di pesanti sanzioni fiscali.
 Con la pubblicazione in Gazzetta della Legge 11/11/2014, n. 164, G.U. 11/11/2014, n. 262 vengono disciplinati i contratti di godimento in funzione della successiva vendita, che definisce la particolare tipologia di contratti noti come  “Rent to buy”, viene specificata nei suoi elementi dal comma 1bis dell’art. 23 in sede di conversione del DL 133/2013, c.d. “salva Italia”.
All'art. 23 del D.L. 133/14 convertito in legge il 30 ottobre scorso è stato aggiunto il comma 1-bis che consente alle parti di definire la quota dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà dell'immobile entro il termine stabilito.
Il nuovo schema negoziale è caratterizzato da elementi tipici della locazione e della compravendita: il conduttore ottiene la disponibilità dell’immobile, paga il corrispettivo e si impegna, entro un determinato termine fissato liberamente dalle parti ad acquistare la proprietà dello stesso immobile defalcando dal corrispettivo di acquisto parte dei canoni già versati.


Il contratto è trascritto secondo la regola dettata dall’art. 2645bis c.c. per i preliminari sottoposti a condizione o che hanno ad oggetto edifici da costruire o in corso di costruzione e la trascrizione produce anche gli effetti della locazione ultranovennale, ed è opponibile ai terzi. Gli effetti della trascrizione si protraggono per tutta la durata del contratto e comunque per un perioro non superiore a dieci anni.

Nel caso in cui il concedente non trasferisca la proprietà alla scadenza del termine, il conduttore- acquirente potrà ottenere sentenza che tenga luogo del contratto non concluso (ex art. 2932 c.c.)

La fattispecie contrattuale trova la sua causa, la sua ragione di carattere socio economico, nella volontà del proprietario concedente di concedere il godimento di un immobile al fine di venderlo e nella corrispondente volontà del conduttore di ottenerne la disponibilità a fronte di un corrispettivo che, in parte, verrà considerato quale acconto sul prezzo di vendita. Il canone sarà necessariamente superiore a quello di mercato e la durata del contratto non potrà
Nella conversione in legge è previsto che le parti definiscano in sede contrattuale la quota dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà dell’immobile entro il termine stabilito. E’ data dunque ampia autonomia alla negoziazione: le parti devono stabilire fin dalla stipula del contratto la misura del canone e definire quale quota di questo è da imputarsi quale acconto, prezzo che, in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare l’immobile da parte del conduttore, dovrà essere allo stesso restituita.
La modifica trova la sua ragion d’essere nella necessità di evitare che si realizzi un ingiustificato arricchimento in capo al proprietario locatore concedente: infatti, poiché durante la fase preparatoria all’acquisto il futuro acquirente versa un importo mensile, ma solo una parte viene considerata come canone di locazione effettiva (e quindi a fondo perduto), mentre l’altra parte va a creare  un deposito in conto di futuro acquisto, nel caso in cui tale acquisto non avvenga, per ristabilire l’equilibrio il concedente dovrà restituire quanto ricevuto a tale titolo.
Diversamente accade in caso  di  risoluzione per inadempimento di una delle parti:  in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un numero di canoni stabilito dalle parti, non inferiore comunque ad un ventesimo del loro numero complessivo si verificherà l’inadempimento del conduttore e il concedente avrà diritto alla restituzione dell’immobile e trattenendo definitivamente,  a titolo di indennità, tutto quanto versatogli.
Qualora, invece, l’inadempimento fosse a carico del  concedente,  questi dovrà restituire la parte dei canoni imputati a corrispettivo di vendita, maggiorata degli interessi legali.

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Bibliografia:

Francesca Vinciarelli, Rent to buy e affitto:analisi comparata, http://www.pmi.it/impresa/normativa.html
Mariagrazia Monega, In Gazzetta lo Sblocca Italia: le novità del Rent to buy, http://www.quotidianogiuridico.it


venerdì 7 novembre 2014

Dichiarazione anticipata di trattamento




  La dichiarazione anticipata di trattamento (detta anche Testamento biologico, o più variamente testamento di vita, direttive anticipate, volontà previe di trattamento) è l'espressione della volontà da parte di una persona (testatore), fornita in condizioni di lucidità mentale, in merito alle terapie che intende o non intende accettare nell'eventualità in cui dovesse trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte (consenso informato) per malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti, malattie che costringano a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione.

La parola testamento viene presa in prestito dal linguaggio giuridico riferendosi ai testamenti tradizionali dove di solito si lasciano scritti (di pugno) le volontà di divisione dei beni materiali per gli eredi o beneficiari. Nel mondo anglosassone lo stesso documento viene anche chiamato living will (a volte impropriamente tradotto come "volontà del vivente").
La volontà sulla sorte della persona passa ai congiunti di primo grado o ai rappresentanti legali qualora la persona stessa non è più in grado di intendere e di volere per motivi biologici.


Contesto giuridico in Italia 

Non esistendo ancora in Italia una legge specifica sul testamento biologico, la formalizzazione per un cittadino italiano della propria espressione di volontà riguardo ai trattamenti sanitari che desidera accettare o rifiutare può variare da caso a caso, anche perché il testatore scrive cosa pensa in quel momento senza un preciso formato, spesso riferendosi ad argomenti eterogenei come donazione degli organi[1], cremazione, terapia del dolore, nutrizione artificiale e accanimento terapeutico, e non tutte le sue volontà potrebbero essere considerate bioeticamente e legalmente accettabili.
L'articolo 32 della Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge[2]» e l'Italia ha ratificato nel 2001 la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina (L. 28 marzo 2001, n.145) di Oviedo del 1997 che stabilisce che «i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell'intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione[3]». 
Il Codice di Deontologia Medica, in aderenza alla Convenzione di Oviedo, afferma che il medico dovrà tenere conto delle precedenti manifestazioni di volontà dallo stesso[4].
È importante sottolineare che nonostante la legge n. 145 del 2001 abbia autorizzato il Presidente della Repubblica a ratificare la Convenzione, tuttavia lo strumento di ratifica non è ancora depositato presso il Segretariato Generale del Consiglio d'Europa, non essendo stati emanati i decreti legislativi previsti dalla legge per l'adattamento dell'ordinamento italiano ai principi e alle norme della Costituzione. Per questo motivo l'Italia non fa parte della Convenzione di Oviedo[5].

Casi di giurisprudenza 

Per la prima volta in Italia, il 5 novembre 2008, il Tribunale di Modena nella persona del Giudice Guido Stanzani emette un decreto di nomina di amministratore di sostegno in favore di un soggetto qualora questo, in un futuro, sia incapace di intendere e di volere. L'amministratore di sostegno avrà il compito di esprimere i consensi necessari ai trattamenti medici. 

Così facendo si è data la possibilità di avere gli stessi effetti giuridici di un testamento biologico seppur in assenza di una normativa specifica[6].

 

Dibattito politico in Italia

L'argomento, "eticamente sensibile", vede posizioni differenti fra correnti di pensiero di tipo laica, radicale (spingendosi fino a voler discutere di eutanasia) e posizioni di forte difesa della vita di ispirazione cattolica. Per quanto riguarda l'eutanasia il Comitato Nazionale di Bioetica si è espresso chiaramente nel 2003 con un documento di raccomandazioni dove si afferma che le dichiarazioni anticipate non possono contenere indicazioni «in contraddizione col diritto positivo, con le norme di buona pratica clinica, con la deontologia medica o che pretendano di imporre attivamente al medico pratiche per lui in scienza e coscienza inaccettabili» e che «il paziente non può essere legittimato a chiedere e ad ottenere interventi eutanasici a suo favore[7]».

Il documento del CNB afferma inoltre che «i medici dovranno non solo tenere in considerazione le direttive anticipate scritte su un foglio firmato dall'interessato, ma anche giustificare per iscritto le azioni che violeranno tale volontà».
Alcuni recenti casi mediatici (come ad esempio quello di Eluana Englaro) hanno posto nuovamente all'attenzione della politica e dell'opinione pubblica la necessità di legiferare in maniera chiara sull'argomento.



[1] Il Ministro della Salute italiano, per esempio, per la donazione degli organi, aveva tentato di introdurre un talloncino da portare con sé dove si dichiara la propria posizione rispetto alla volontà di donare gli organi.
[3] Convenzione per la protezione dei Diritti dell'Uomo e della dignità dell'essere umano nei confronti dell'applicazioni della biologia e della medicina; art. 9. Consiglio d'Europa, 4 aprile 1997. URL consultato il 17-02-2009. Legge 28 marzo 2001, n. 145. parlamento.it, 28 marzo 2001. URL consultato il 17-02-2009.
[4] «Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non tenere conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso»; Codice di Deontologia Medica, art. 34. Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri. URL consultato il 17-02-2009.
[5] Convenzione di Oviedo e il suo calvario. Associazione Luca Coscioni, 1 febbraio 2008. URL consultato il 20-02-2009.
[6] Primo caso di «Testamento biologico». Il giudice applica una norma del 2004. Corriere della Sera, 29 maggio 2008. URL consultato il 20-02-2009. Decreto Stanzani del 5 novembre 2008. forumdonnegiuriste.it, Tribunale di Modena, 29 maggio 2008. URL consultato il 20-02-2009. Dichiarazioni anticipate di trattamento. Comitato Nazionale di Bioetica, 18 dicembre 2003. URL consultato il 20 febbraio 2009.

[7]Un testamento lungo 15 anni. L'Espresso, 12 febbraio 2009. URL consultato il 14 febbraio 2009.